William Patrick Corgan: Ogilala. La Recensione

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Ogilala non è un album degli Smashing Pumpkins, non è nemmeno un album di Billy Corgan. Ogilala è l’album di William Patrick Corgan, è il modo di presentarsi, o meglio ripresentarsi, del leader della band di Chicago, al mondo. 
Questa premessa credo fosse di dovere prima di farvi leggere la recensione di Ogilala di William Patrick Corgan. Una necessità che nasce dal fatto che l’ascolto deve avvenire senza attese, senza aspettarsi un nuovo lavoro degli Smashing Pumkins, nonostante fondamentalmente gli Smashing Pumkins del dopo Adore (per non dire del dopo Mellon Collie and the Infinite Sadness dato che da li in poi la band non è stata più totalmente nella formazione originale) siano stati Billy Corgan.

Superata ormai nettamente la fase deludente e litigiosa supergruppo degli Zwan, superata la fase inconcludente ed incompleta del concept album Teargarden by Kaleidyscope, superata la fase degli insuccessi e mal riusciti ultimi due album degli Smashing Pumpkins, ed infine passata nel dimenticatoio l’esperienza da solista di TheFutureEmbrace come Billy Corgan, William Patrick Corgan realizza Ogilala, un album che vale la pena di ascoltare.

Ogilala
William Patrick Corgan – Ogilala – Artwork

L’album è tendente al minimalista, acustico, dove oltre al pianoforte e qualche pezzo di chitarra c’è poco altro, completamente in controtendenza al come ci ha abituati il buon vecchio Billy. E’ molto intimo nell’interpretazione, ed è sincero, senza false costruzioni.
Prodotto da Rick Rubin, la cui mano si sente ed anche molto, William Patrick Corgan non inventa nulla in Ogilala, ma torna a fare buona musica veramente, elimina tutto il contorno inutile che si portava dietro da qualche anno, solo per mantenere il nome Smashing Pumpkins, e da solo riesce a mostrare l’arte che ancora ha in sé. La mostra in ogni dettaglio, partendo appunto dal suo nome, la mostra mettendo al centro il suo volto, la sua voce ed il suo modo di fare musica con semplicità. Tutto questo lo fa appunto con Rick Rubin, quel produttore che un giorno prese un Johnny Cash in fase ormai calante e con American Recordings lo fece rinascere.

Nel cantare le canzoni di Ogilala Billy Corgan prova anche a dare qualcosa di diverso, sia chiaro non di nuovo, gioca molto sulla voce, sulla pulizia del suono ci va anche il suo vibrato.

Sui brani c’è da dire che non è tutto perfetto, non tutti meritano di esistere, ma alcuni pezzi emozionano veramente. Già dall’apertura del disco con Zowie, brano dedicato a David Bowie, il quale riprende il nome del primo figlio del Duca Bianco. Il brano in sé resta forse il migliore dell’album, ma è anche vero che è solo l’inizio di un nuovo percorso. E’ l’ultimo saluto di Billy Corgan ad uno dei suoi idoli, è la sua dichiarazione verso se stesso e verso il mondo che vive, la fa dicendo che la vita continua a scorrere più veloce delle tue cicatrici.
Processional è una conferma, alla chitarra si fa accompagnare dal ritrovato James Iha, ma lo fa senza dare troppa importanza al fatto di essere stato anche lui una zucca. In compenso nel brano Corgan dice chiaramente che è una lunga strada per tornare a casa. Quasi una dichiarazione.
The Spaniards accompagnato da un video stupendo, in ordine il secondo singolo estratto dall’album, riprende in esso parti di Pillbox, il cortometraggio realizzato dallo stesso Billy Corgan. Aeronaut sembra un brano di altri tempi, quasi uscito da Mellon Collie and the Infinite Sadness. E’ il primo singolo estratto, a ben motivo essendo una delle canzoni più belle di tutto il disco. La stessa sensazione si ha in Mandarynne, i cui archi rimandano ai tempi d’oro sopra citati. La sensazione tornerà infine in Archer dove implicitamente c’è tutto l’amore e la passione che Corgan può dare alla musica e viceversa. Meno riusciti, e molto più introspettivi ed autoreferenziali, The Long Goodbye e Half Life of an Autodidact, ad entrambi i brani sembra mancare la marcia in più per la completa riuscita, nella seconda vi è però poesia allo stato puroIn Amarinthe c’è il tentativo di fare qualcosa di diverso pur mantenendo lo stesso stile, mentre in Antietam c’è molta statiticità, entrambi senza disonore, ma nemmeno con gloria. Infine Shiloh è il classico brano che prepara alla chiusura, senza pretese riesce nel suo intento.

Probabilmente, come già ho fatto capire, Ogilala di William Patrick Corgan è il miglior disco che esce da Billy Corgan e dagli Smashing Pumpkins negli ultimi 15 anni. Sicuramente gli anni ’90 sono passati da un pezzo, la strada lui e la sua band l’hanno tracciata anni fa, hanno mostrato come fare le cose diversamente e molto bene, oggi l’artista si ferma solo a fare qualcosa di ben fatto, e niente di più, ma nemmeno niente di meno, è la speranza che la vena artistica del cantante di Chicago sia ancora viva ed è la certezza che il fuoco non si è spento.

In definitiva niente di nuovo, ma tutto molto bello, tutto emozionante e fatto con il cuore.

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