Tom Odell: “Long Way Down”. La recensione

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Cover "Long Way Down" Tom Odell

Con quattro mesi di ritardo è arrivato anche in Italia “Long Way Down”, album di esordio di Tom Odell. Pianista nonché cantautore britannico, classe 1990, questo giovanissimo artista ha già attirato su di sé l’attenzione di media e pubblico, finendo, suo malgrado, al centro di uno dei casi del momento. Se il pubblico, infatti, lo ha gratificato facendolo balzare in vetta agli album più venduti nel Regno Unito, una rivista del calibro di NME lo ha ridotto in frantumi recensendo questa sua opera prima con un voto di 0/10. A parte la domanda più che lecita del perché recensire un disco, se bisogna poi giudicarlo inclassificabile o non degno di considerazione, ascoltando “Long Way Down” non si riesce a darsi spiegazione da dove derivi un giudizio tanto feroce e violento.

Tom Odell si presenta come un pianista che scrive e compone nel puro stile britpop, genere in cui è nato e cresciuto. In Italia lo abbiamo conosciuto grazie al singolo “Another Love”, rimbalzato da una radio all’altra in questo autunno che sta andando agli sgoccioli ed ha già ottenuto buon riscontro, tutto meritato, tra l’altro. Ad accompagnare le 10 tracce che compongono la tracklist di “Long Way Down” è, come facile immaginare, il pianoforte, che sostiene imperterrito la voce di Odell. Anzi, proprio il pianoforte si trova spesso a suonare a tonalità molto alte che vanno a contrastare la vocalità del giovane cantautore, al contrario cupa, profonda, talvolta gracchiata, sporca.

Cover "Long Way Down" Tom Odell
Cover “Long Way Down” Tom Odell

Se dovessimo descrivere “Long Way Down” con un solo aggettivo, questo sarebbe sicuramente “dolce”. Dolcezza e tenerezza sono i tratti che contraddistinguono ogni traccia di questo album, dal quale emergono una forte sensibilità sia artistica che personale. Nel corso dei dieci brani che lo compongono si alternano momenti toccanti ad altri di pura commozione, come l’apertura “Grow Old With Me” , ad altri ancora di maggiore incisività come “Hold Me”, dai tratti decisamente bowiani, “I Know” e “Till I Lost”, piuttosto che ad atmosfere sognanti come in “Supposed To Be”, “Sense”, “Sirens” e la title track “Long Way Down”.

“Can’t pretend” si staglia nettamente sulle altre, risultando il pezzo migliore del disco. Sonorità cupe, si assiste ad un crescendo progressivo di intensità, stoppata e poi ripresa, momenti corali carichi di pathos. Un gioco di alti e bassi, sospensioni e ripartenze, che subito conquista ed evoca immagini suggestive, come un piccolo corto in musica.

L’età ancora giovane di Tom Odell e la mancanza di una forte esperienza fanno sì che i riferimenti musicali, le sue influenze si facciano sentire in modo marcato e netto all’interno dei brani che compongono l’album. I rimandi a certi stili altrui consolidati, in particolar modo a quello dei Coldplay, si fanno vivi in più di un’occasione, ma mai vengono riproposti in maniera automatica, al contrario, passano attraverso il personale filtro di Odell. Un lavoro complesso ancora agli inizi.

Giudizio complessivo:

“Long Way Down” è un’opera prima e come tale deve essere giudicata. Buon album d’esordio, se pensiamo che Odell a soli 20 anni ha scritto e composto da solo tutti i brani, non si può che valutare positivamente il lavoro svolto. Certo, il suono risulta ancora poco definito in una personalità sua propria, ma le premesse ci sono tutte. Artista da tenere d’occhio, sarà interessante vederne l’evoluzione e la maturazione, darà grandi soddisfazioni. Le stroncature non possono portare a niente di buono, un sano incoraggiamento può dare l’input allo sviluppo di una propria chiave interpretativa e di un proprio stile. Ottimo inizio.

 

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