Tiziano Ferro: “Il mestiere della vita”. La recensione

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Questa volta Tiziano Ferro è andato fino a Los Angeles a registrare il suo nuovo e sesto disco “Il mestiere della vita“, prodotto da Michele Iorfida Canova e anticipato dal singolo “Potremmo ritornare“. Lui stesso descrive il suo album in questo modo: “È un disco scritto senza pensare. Mi sono sentito come all’inizio. Non volevo mettermi sotto pressione, non volevo sentire la fretta della scadenza.”

Inutile a dirlo, appena poche ore dopo la sua pubblicazione su iTunes, il disco è balzato al primo posto della classifica degli album più venduti: l’attesa per questo album soprattutto da parte dei fans era tanta e Tiziano si è regalato al suo pubblico componendo 13 nuove canzoni dopo “L’amore è una cosa semplice” di 5 anni fa. Il risultato? Parzialmente convincente, a mio avviso.

Tiziano è andato in America anche a sentire il suono del pop americano (alla Major Lazer, per intenderci) e per vedere cosa gli interessava di quel suono e cosa poteva traghettare in Italia per continuare il suo cammino musicale, senza però dimenticare le sue radici e le sue origini: certo, canzoni come “Soul-dier” probabilmente non le ascolteremo mai più, ma una certa parte del passato di Ferro rimane, soprattutto quando parliamo di ballate, uno dei punti forti del cantante pontino.

tiziano ferro cover
Tiziano Ferro – Il mestiere della vita – Artwork

Le canzoni come la prima, “Epic” (scritta insieme a Baby K) fanno capire invece che Tiziano si sta orientando verso un sound molto “urban”, alla Kanye West: il secondo brano, ““Solo” è solo una parola” invece mescola il sound americano con quello a cui ci ha abituato nel corso di questi anni Ferro, questo cantato metropolitano molto sincero e fatto di vita trasfusa a piene mani nei testi delle sue canzoni. La title-track invece è la perfetta sintesi di tutte quelle canzoni che hanno reso Ferro uno dei cantanti più seguiti in Italia: una ballad potente, precisa, che si prende spazio e aria nel corso della canzone e che non delude.

Con “Valore assoluto” siamo nel territorio della canzone pop d’amore, semplice e catchy il giusto per far sì che il ritornello rimanga incollato al cervello dopo il secondo ascolto, ma è con “Il conforto“, il duetto con Carmen Consoli, che il disco si eleva e acquisisce spessore grazie ad una melodia elettronica solo apparentemente fredda e una emozione palpalbile nel testo, con un video che ricorda “Don’t give up” di Peter Gabriel e Kate Bush. “Lento/veloce” è uno dei brani invece che sentirete di più nella prossima estate, ve lo posso garantire.

Troppo bene (per stare male)” non riesce nel compito di stare al passo delle altre canzoni del disco: subito dopo troviamo il momento nostalgia con “My steelo” che vede la partecipazione di Tormento per un pezzo a metà tra l’hip-hop e il pop attuale, ricordando i tempi andati in cui quando, non ancora famoso, apriva i concerti dei Sottotono. Il singolo di lancio “Potremmo ritornare” sparisce quasi nel confronto con le altri canzoni del disco, sembra quasi banale, come se facesse parte di un altro disco.

Anche per “Ora perdona” Ferro e Canova giocano sul sicuro con la voce di Ferro che danza sui beat elettronici sulla falsariga dei lavori americani (vengono in mente per esempio gli Outkast) e pescano sempre da oltreoceano per il beat sincopato di “Casa è vuota” e le atmosfere dilatate di “La tua vita intera“, che ricorda certe atmosfere di Frank Ocean. Il disco si chiude (a mio avviso in calando) con “Quasi quasi“, brano morbido e soul quasi anni Sessanta quasi fuori contesto rispetto a tutto il resto.

Il mestiere della vita” è un disco dai due volti: da un lato abbiamo il Ferro innovatore, che guarda al pop americano e cerca di introdurre in Italia elementi di novità nel cantato e nel suonato del pop nostrano, e dall’altro lato abbiamo il Ferro conservatore, quello che ama ancora le ballads, che ha una scrittura musicale sopra la media e una voce che vorrebbe (e dovrebbe, a mio avviso) usare meglio e di più. In mezzo ci sono le esigenze di mercato, il dover fare un disco dopo che sono passati ben cinque anni dal precedente e il cercare una mediazione tra le due fasi. Il risultato, ovviamente, è influenzato da tutte queste componenti e non sempre nel modo migliore: l’inizio del disco è interessante con alcuni picchi notevoli (“Il conforto” e “Solo è solo una parola” su tutte) ma nel corso dell’ascolto il disco va scemando, come se perdesse convinzione nell’idea originaria, fino al finale onestamente deludente. Tiziano Ferro sa scrivere di vita vissuta come pochi ma questa sua capcità lirica andrebbe sfruttata meglio e non piegata alle mode del momento. Apprezziamo lo sforzo ma avremmo apprezzato ancora di più un risultato differente. Promosso con riserva.

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