The Swing Brothers: “Chewing Gum Blues”. La recensione

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Prendete due outsider della musica italiana anticonformisti e difficili da inquadrare come Sergio Caputo e Francesco Baccini, due musicisti schivi e lontani dallo star system che sono entrati con le loro canzoni nella storia della musica italiana e nonostante questo sono rimasti fedeli a loro stessi. Prendete un sogno fatto da Caputo in cui si trovava sul palco a suonare con Baccini. Prendete una manciata di chiacchierate sui social network. Mescolate tutto intensamente e otterrete “Chewing Gum Blues“, il primo disco targato “The Swing Brothers“, ovvero proprio Caputo e Baccini.

Per quanto strano possa sembrare, Sergio e Francesco hanno cominciato entrambi negli anni Ottanta su un terreno che affondava le proprie radici nello swing e nel blues ma non avevano mai suonato insieme e le loro carriere artistiche non si erano mai incrociate finora. I due hanno maturato nel corso del tempo uno stile tutto loro assolutamente riconoscibile e unico e per questo i loro fans li seguono da tempo in maniera inossidabile e quasi commovente. Ora il loro percorso umano e artistico li ha portati a suonare sotto la sigla di “The Swing Brothers“.

Il disco “Chewing Gum Blues” composto da dieci tracce è stato anticipato l’anno scorso dal singolo “Non fidarti di me” e, dopo molti concerti estivi, è stato lanciato dai due singoli “Le notti senza fine” e “Chewing Gum Blues”: l’album si apre con la titletrack che ci mostra subito come si fondano insieme subito lo swing e il jazz, oltre che le voci di Caputo e Baccini. Nel brano successivo “Le notti senza fine” questo concetto viene ulteriormente espletato e sembra di trovarci alla festa “Incanto sotto il mare” del leggendario film “Ritorno al futuro” per quanto sembra di essere negli anni Cinquanta.

Il disco è tutto in bilico tra anni Cinquanta e Sessanta, tra blues, jazz e pop, tra citazioni sofisticate e duetti vocali in bilico, come in “Mistery girl“: ci sono anche episodi completamente differenti come “Su questa striscia di mare” e “Maledetta questa luna“, brani dal piglio decisamente pop se non proprio rock che ricordano vagamente alcune canzoni di Pierangelo Bertoli per ritmo e cattiveria e vocale. “Tu non sei una Barbie” fa venire fuori invece l’anima gigiona e pianistica di Baccini con un brano ironico, sprezzante e caustico al punto giusto in cui Caputo fa da ottimo contraltare.

L’ironia regna sovrana in “Ma che gelida manina“, citazione swing della famosa aria lirica tratta dalla Boheme che vede i nostri due eroi districarsi tra chitarre swing, charleston e sassofoni: il pianoforte è invece il protagonista di “Paranoia in Lombardia by night“, pezzo blues sulle disavventure che si possono vivere una sera nelle nebbie lombarde e che ricorda molto da vicino il “Babysitting blues” del film “Adventures in Babysitting” cantato da Elisabeth Shue. Il disco si avvia verso la chiusura con lo ska di “Non fidarti di me” scritto e realizzato a quattro mani via Skype e “Uno straccio di blues“, brano strumentale sperimentale molto particolare.

Chewing gum blues” è un disco difficile da definire o decifrare. Di certo al suo interno troviamo la sintesi di due esperienze musicali trentennali che hanno segnato a loro modo la cultura musicale italiana (e non solo) dagli anni Ottanta in poi. Accompagnati dalla band che abitualmente li segue in concerto, Sergio Caputo e Francesco Baccini si tuffano in atmosfere notturne da locali pieni di fumo e donne in cerca di avventure, mentre loro suonano il loro blues senza segni di stanchezza o cedimento. Questo è un disco strano, un progetto comune che affascina ma non convince del tutto, come se qualcosa nel disco fosse forzata, non del tutto naturale. E questo stona con il contesto, che vede al suo interno anche canzoni molto carine e atmosfere che faranno piacere ai più nostalgici ma che non credo troveranno appeal nei più giovani. Si vede che solo noi ci ritroveremo all’Hemingway Caffè Latino a sorseggiare un Margarita con Berenice.

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