“Squalor Victoria” rompe il ghiaccio, i The National salgono sul palco e inaugurano il loro spettacolo.
Qualsiasi cosa può essere detta dopo un live come quello andato in scena all’Auditorium Parco della Musica il 30 giugno 2013, ma sarebbe tutto inutile, perché descrivere musica, come le emozioni, è praticamente impossibile . Non si tratta di essere esagerati o di dare aria a qualcosa che in fondo vale poco; piuttosto, risulta difficile, ad oggi, immaginare che ci sia ancora qualcuno che la musica la sente dentro come succedeva una volta. Matt Berninger è il mito del frontman fatto uomo, è un instancabile artista ma soprattutto è uno di quelli che l’amore per la musica lo trasmette puntualmente ad ogni accento e ad ogni battuta. Non solo un elenco di luoghi comuni, ma testimonianze reali, confermate da chi ha avuto la fortuna di assistere ad uno spettacolo del genere. Il Sold Out doveva suggerire che la band negli anni ha avuto modo di consolidare una reputazione di quelle intoccabili, ma ogni volta, ad ogni live è come scoprire costantemente qualcosa di meravigliosamente nuovo.
Un palco enorme accoglie tutti i fan, e il contatto con il parterre è davvero diretto, tanto che quando i The National hanno finalmente palesato la loro presenza è stato come essere accolti nel loro salotto. Tutto comincia, e a seguire l’inizio con la solenne e meravigliosa “Squalor Victoria” sono state “I Should Live In Salt” e “Don’t Swallow The Cap“, ultime arrivate nella discografia della band. L’Auditorium ha accolto i fan su delle piccole sedie, rimaste ferme e composte davvero per poco, complice il bisogno di Matt Berninger di avere il contatto vitale con i suoi seguaci. “BloodBuzz Ohio” chiude questa splendida inaugurazione di setlist davvero ben scandita da una batteria incalzante, accompagnata dai fiati, dall’inconfondibile tocco dei Dessner e dall’aplomb di Berninger, il quale tra urla di Squalor Victoria e le scurissime escursioni tonali ci accompagna a “Mistaken For Strangers“, a sorpresa apparsa in scaletta. Entrati nel vivo di quello che è quasi uno spettacolo in collaborazione con gli ascoltatori, una magnifica profondità vocale ci porta al brano “Demons“, tra i più belli del nuovo album, e tra i più suggestivi tra quelli portati dal vivo dalla band. “Sea Of Love“, la più tranquilla “Afraid Of Everyone” e “Conversation 16” spingono la folla ad abbandonare la propria postazione numerata per stringere la mano a Matt, che sembra aver già finito la sua bottiglia di vino bianco.
I fan rimangono attaccati ad un palco non molto alto, e sono parte attiva dello show, grazie anche alla grande capacità del frontman di rendere interattivo lo spettacolo dei The National. “I Need My Girl” placa gli animi e dà vita ad un intimo racconto musicale, accompagnato da luci blu e da led spenti, i quali per almeno i primi brani avevano animato la scenografia spoglia ed essenziale con alcune immagini. “This Is The last Time“, “Baby Will Be Fine” una scatenatissima “Abel” e “Slow Show” ci fanno entrare nel vivo di quello che è davvero uno spettacolo degno di band dal grande rilievo ma sopratutto dalla grande capacità tecnica. I fratelli Dessner chiudono in bellezza il quadro scenografico con eccezionali esibizioni e continui cambi strumentali. “Pink Rabbits” ci mostra un Matt quasi rapito dai fumi dell’alcol, ma così sempre attento a raccontarsi al microfono che rende tutta la folla silenziosa e meravigliata davanti a questa bellezza musicale. “Sorrow” e “Graceless” riaccendono l’energia, una “About Today” spunta a sorpresa e accompagna la band giù dal palco.
“Fake Empire” arriva precisa e puntuale seguita da “Heavenfaced” e “Humiliation“. L’elenco interminabile dei pezzi portati sul palco non serve altro che aiutarmi a trovare le parole, perché in fondo, senza esagerare immotivatamente, il live dei The National è stato uno dei più belli mai visti. La capacità di interagire con il pubblico appartiene ad un vecchio modo di fare, non appartiene alle band di nuova leva, e a tutti coloro i quali fanno una musica così sentita e così viscerale. Tutta la band merita un plauso per la straordinaria capacità di dominare la scena musicalmente anche quando in maniera evidente sono trasportati dall’emotività che li spinge a concepire questo tipo di musica. “Mr. November” e “Terrible Love” chiudono un meraviglioso momento musicale suggellato ulteriormente da “Vanderlyle Crybaby Geeks” in versione acustica cantata in esclusiva da tutto il pubblico dell’Auditorium.
Riduttivo raccontare delle eccezionali imprese di Matt Berninger, di quando ha voluto arrampicarsi per toccare uno spettatore della tribuna, quando ha cercato di spaccare l’asta del microfono piegandola soltanto e rimettendola in ordine con una facilità incredibile, di quando ha offerto del vino ai suoi seguaci e di quando ha chiesto il bis, di quando gridando “I’d eat your brains” ha preso tra le mani la testa di una spettatrice, di quando ha accettato uno striscione dai suoi fan e di quando, avvicinandosi a me abbiamo gridato insieme “it takes an ocean not to break” della meravigliosa Terrible Love. Uno spettacolo così smuove gli animi e scava nell’intimo scrigno dei propri sentimenti, perché al di là dell’energia e della forza sullo stage, i The National sono straordinari autori delle proprie canzoni, e sono autori nella maniera che non si può spiegare. Il no sense di alcuni testi è condizione necessaria affinché ognuno di noi trovi la spiegazione che più ritiene adatta a brani come “Demons“, “Conversation 16” o “Afraid Of Everyone“. Uno spettacolo che si chiude con una cicatrice nell’animo, un segno di quelli che a lungo andare non passeranno mai, ma ci avranno resi parte attiva di uno dei momenti artistici forse più belli degli ultimi tempi.