The National: “Sleep Well Beast”. La recensione

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Cura compositiva, sensibilità narrativa e urgenza artistica sono le costanti di tutte le fatiche discografiche dei The National. Non è un caso se gli album della band di Matt Berninger da più di un decennio siano catapultati direttamente in vetta alle classifiche, acclamati dagli addetti ai lavori e riportati di diritto nelle liste dei migliori dischi dell’anno, del decennio e del periodo. “Sleep Well Beast” non è solo un faticoso lavoro in studio, è un passo in avanti rispetto a quanto fatto prima, è il raggiungimento di una consapevolezza musicale forse non ancora reincarnata in maturità artistica. Ma per quello ci sarà tempo.

Il settimo album in studio per la band americana rappresenta una trasposizione dell’energia, della violenza, del crescendo musicale tipico delle performance live in uno studio di registrazione, sebbene rinchiudere tra quattro mura l’improvvisazione sia un duro lavoro. Registrare un album costringe a tenersi stretti all’interno di spazi fisici talvolta limitanti e che rischiano di snaturare il processo artistico. I The National con “Sleep Well Beast” ci sono riusciti: la violenza canora di Matt Berlinger, la velocità melodica, la trama intensa di suoni e la somministrazione di alcuni attimi fugaci di sperimentazione trasformano l’idea di ascolto dei The National da band di accogliente sottofondo a prepotente e ingombrante protagonista.

Se la musica è l’espressione soggettiva del compositore che traduce le sue ispirazioni in suoni, i The National da sempre riescono a farci comprendere nel profondo l’intenzione, trasmettendo quasi totalmente l’idea di partenza, l’origine di ogni singolo pensiero. Un enorme telo cupo fa da sfondo a tutti i dischi della band, atmosfere poco chiare, una foschia di dolore e tormentati sentimenti sono il fil rouge di un’intera produzione, presenti senza mezzi termini anche in “Sleep Well Beast”. Un’ampia presa di coscienza, l’accettazione di tutti i dolori e una viscerale, quasi animale, espressione musicale guidano il percorso d’ascolto, da momenti più spenti come in “Nobody else will be there” a suoni ritornati da un alligatore passato in “Day I Die”. Fanno capolino delle evidentissime sperimentazioni elettroniche: i The National stanno per dirci qualcosa, non hanno intrecciato i synth quasi a nascondere le proprie intenzioni, ma li hanno piazzati all’inizio di alcuni brani simbolo dell’album come “Walk it back”, una dolce ninna nanna arrivata direttamente dai colleghi Wild Beasts, “I’ll Still Destroy You”, “Guilty Party” e “Sleep Well Beast” meravigliosa perla di chiusura.

Ogni traccia rappresenta un punto di snodo importante, non si tratta di un ascolto compatto e omogeneo, è un tortuoso percorso intriso di sentimenti gotici, di rassegnazione e reazione immediata. L’obiettivo di Matt Berninger, dei fratelli Dessner e dei fratelli Devendorf è quello di farsi testimoni di una realtà tutt’altro che edulcorata, sono i cantastorie della misera condizione attuale immersa in una perdita di identità e di valori. Il conflitto musicale non è isolato da un conflitto sentimentale, la musica è l’espressione totale, è armonia, libertà e allo stesso tempo è ordine, matematica e perfezione. “Sleep Well Beast” non è da ascoltare ad alti volumi, è rumoroso nelle trame melodiche e arriva come un pugno allo stomaco senza essere violentemente sparato nelle casse. Ogni opera può essere risolta e racchiusa in un piccolo passo, e “Sleep Well Beast” può essere sintetizzata negli ultimi 40 secondi del brano “I’ll Still Destroy You”. Infinità di gradazioni e sfumature hanno sempre reso i lavori dei The National dei piccoli capolavori, collocati in un ecosistema musicale barocco. L’insegnamento che proviene dalla musica è profondo, è tutto collegato, e i The National ci insegnano che sono proprio i legami a renderci forti. La visione dalla loro prospettiva risulta interessante ormai da anni, e se la paura si ripresenta prima dell’ascolto di ogni uscita, immediatamente svanisce e si intreccia con la grandezza musicale dimostrata puntualmente.

12 brani, 57 minuti e una sola grande frattura nel cuore.

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