Un genere musicale senza età è destinato a nascere in un periodo ben preciso ed è pronto collocarsi nella categoria dei sempreverdi, in quell’angolino della musica che non muore mai. Ogni periodo storico che si rispetti si impreziosisce di un proprio pensiero filosofico, di una propria moda, di uno specifico genere musicale e di tanti avvenimenti che non fanno che influenzare gli elementi di cui sopra. Si parla di anni 80, si parla di anni 50, di anni 60, ma evidentemente necessitiamo di un ricambio generazionale per poter parlare degli anni 90. L’ultimo decennio del secolo scorso ha visto nascere il britpop e il fenomeno tutto anglosassone di un genere musicale derivato fortemente dal rock, ma addolcito e arricchito di testi ambigui e tremendamente affascinanti. Reduce da un decennio fatto di synth con la nascita della musica elettronica, il panorama discografico degli anni 90 ha avvertito la necessità di rinfrescarsi con nuove sonorità, diventate frutto di una rivisitazione e di una rivalutazione di generi musicali non molto freschi, ma resi così interessanti da farli collocare in un genere musicale a parte. Nel 1989 nascono i Suede, band che racchiude nella propria musica tutto ciò di cui abbiamo appena finito di parlare, band che è diventata ambasciatrice del britpop, e che ha scritto un pezzo di storia della musica. La storia della band non ha una continuità produttiva, ma negli anni ha attraversato varie fasi, tra cui alcune di grande attività e di grande popolarità. Tanto grande è il desiderio di essere protagonisti della musica tanto è il disagio che si porta dentro, e tutto ciò spiega il percorso tormentato dei Suede. La fragilità della voce di Anderson è il marchio di fabbrica di un’intera produzione musicale sempre più apprezzata negli anni. I Suede sono stati vittima della loro stessa immensità e della loro stessa fragilità. Un decennio senza loro è quasi passato liscio, ma non sarà più lo stesso o almeno non lo è stato dal momento in cui hanno annunciato un gran ritorno. Riapparsi a baluardo del genere britpop i Suede si ripropongono in un’epoca dalla difficile comprensione musicale e tornano senza aver cambiato nemmeno una virgola delle loro melodie.
Forse una scommessa riuscita, ma Bloodsports sembra essere stato lanciato direttamente dagli anni 90, e seppur appartenente a tutt’altro decennio mai come ora sembra essere attualissimo. L’interessante passaggio che hanno saputo fare i Suede è stato quello di rendere attuale il britpop e di aver reso il loro ritorno tra i più riusciti degli ultimi tempi. Nei dieci brani del ritorno non ci sono le chitarre che ci aspettavamo e non c’è l’audacia che aveva reso “Suede” del 1993 il simbolo di un genere musicale, ma il rock glam chitarroso e l’ambigua malinconia che avevano reso i Suede unici sembrano essere ancora vivi più che mai. Momenti tristi e disperati vivono in “What are you not telling me?“, mentre il brano “For The Strangers” è il dignitoso ritorno britpop tutto anni 90, e “Sabotage” ci regala una surreale tranquillità. Descrivere minuziosamente entro i titoli dei brani di “Bloodsports” è riduttivo perché esso si presenta come un interessante insieme inframmentabile, come una materia unica fatta di piccole parti necessarie alla riuscita dell’ascolto finale. Bloodsports è uno dei ritorni più riusciti, è l’inattività creativa, è il genere senza tempo che si ripropone a distanza di decenni senza risultare fuori luogo, è il disco, è la deviazione, è la decadenza e la sensualità di una band che ha scritto un pezzo di storia della musica.