Subsonica: “Microchip temporale”. La recensione

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Bun cia bun cia ciata bun/Bun cia bun cia ciata bun/Bun cia bun cia ciata bun/Bun cia bun“: con questa frase, per molti anni, sono cominciati i concerti della band torinese dei Subsonica, che, dopo il disco omonimo, venne lanciata nel panorama musicale italiana da un album diventato iconico come “Microchip emozionale“. In questi mesi, a distanza di 20 anni, Samuel, Boosta, Max Casacci, Bass Vicio e Ninja hanno deciso di festeggiare questo anniversario donando a questo disco seminale nuova vita con “Microchip temporale“, attraverso una serie di cover con un artista moderno per ogni canzone del disco.
Il disco, lanciato dai singoli “Aurora sogna”, “Il mio DJ” e “Tutti i miei sbagli“, è subito balzato al sesto posto della classifica di vendita in Italia, a dimostrazione del fatto che, nonostante gli anni, questo progetto musicale è ancora attuale e seminale. Oltre i sei secondi iniziali di intro di “Buncia“, la prima canzone che troviamo è “Sonde“, che vede la collaborazione del rapper torinese Willie Peyote, e la canzone torna a essere tremendamente attuale, in un modo ormai a forma di telecamera dove ogni nostra mossa è spiata, registrata e ripresa, senza che il brano perda un briciolo della forza originaria.
Il secondo pezzo, come da copione, è la celeberrima “Colpo di pistola” che vede il featuring di Nitro, ma in questo brano, come in altri del disco, si percepisce una sensazione straniante, ovvero che forse non serviva una collaborazione per riportare in auge questo pezzo, visto che è stato lasciato praticamente identico e che l’intervento dell’ospite non aggiunge nè toglie niente. Con “Aurora sogna“, devo ammetterlo, ho avuto un po’ di timore, perchè è un brano iconico che rischiava di uscire a pezzi dal nuovo maquillage, e invece i Come Cose e Mamakass non disturbano il pezzo, dando anche una voce, per una volta, alla tanto famigerata Aurora.
Lasciati” con Elisa, a mio avviso, è una piccola delusione, perchè per un brano così delicato, una delle prime ballads del gruppo, la traccia lasciata dalla cantante goriziana è praticamente impalpabile (e forse era impossibile cambiare radicalmente un brano con una identità musicale così precisa): “Tutti i miei sbagli“, brano che i Subsonica portarono al Festival di Sanremo nel 2000, nel disco vede la partecipazione di Motta e, spogliata della sua elettronica e resa acustica solo voci, chitarra e pianoforte, richiama molto la versione acustica del 2006 inclusa nella prima raccolta ufficiale del gruppo “Nel vuoto per mano (97-07)” ed è, probabilmente, il miglior brano di tutto il disco.
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Con “Liberi Tutti” c’è la partecipazione de Lo Stato Sociale al posto di Daniele Silvestri nella versione originaria e la differenza riesce a non farsi notare, tranne che per l’elettronica più imperante in questa versione e per il ritornello diverso (“viaggiare sempre, sbagliare sempre, dormire poco, ridere forte, non appartenere al niente, conta solo la libertà”) mentre “Strade“, grazie al lavoro di Coez, diventa un pezzo nuovo a sè stante, distante anni luce dall’originale ma non per questo peggiore, anzi, con una sua propria dignità: lo stesso si può dire per “Disco Labririnto” con Cosmo, che mantiene la sua struttura dance e anzi la rafforza all’ennesima potenza, innestando al suo interno un’anima elettronica quasi da rave.
Nella versione originale “Il mio D.J” vedeva la prima grande collaborazione dei Subsonica con il celebre DJ Andrea Coccoluto, e qui viene rivisitata con Achille Lauro, ma l’effetto finale non è dei migliori, con un eccesso di effetti elettronici che non fanno il bene del brano, a mio avviso: l’iconica “Il cielo su Torino“, pezzo ancora oggi riproposto con successo ai concerti, viene scomodato Ensi che porta il suo quarto di dollaro senza modificare lo scheletro della canzone dove ancora regna la chitarra di C-Max.
Il disco si avvia verso la sua fine e c’è tempo ancora per altre tre canzoni: la prima è “Albe meccaniche” rivisitata dai Fast Animals and Slow Kids, forse uno degli episodi meno felici del disco, un brano che non lascia molto all’ascoltatore. La seconda è “Depre“, pezzo estremamente energetico che viene affidato a MYSS KETA (suppongo la scelta sia stata anche dettata dal nome dell’artista, se mi permettete la battuta, dato che parliamo di una canzone che è una lunga lista di farmaci ansiolitici) e che subisce un rallentamento e una sorta di snaturamento, come se fosse un tempo troppo lento (per non citare il bridge di “Seven nation army” dei White Stripes). La terza e ultima è “Perfezione“, cantata insieme a Gemitaiz.

Oltre a essere una sorta di Bignami della scena musicale italiana odierna, “Microchip temporale” doveva essere una commemorazione per un album che è diventato a dir poco virale per la scena musicale. Ma, come in ogni raccolta così variegata che si rispetti, ci sono apici e pedici. Se risaltano assolutamente brani come “Tutti i miei sbagli”, “Aurora sogna” e “Disco labirinto”, dall’altro lato troviamo episodi meno ficcanti come “Albe meccaniche” e “Lasciati”. Certo, rendere omogeneo un lavoro con così tante teste pensanti è assolutamente un lavoro improbo, ma alcuni remake non hanno semplicemente la forza di altri. D’altronde, come cantavano ironicamente gli stessi Subsonica anni fa in “Benzina Ogoshi“, neanche loro sono riusciti a bissare “Microchip emozionale”. Voglio guardare il bicchiere mezzo pieno e prendere questo disco come l’occasione per ricordare un album e un gruppo che hanno fatto la storia della musica italiana. Pazienza se non è stato tutto perfetto.

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