Ci sono certi gruppi che sono extragenerazionali e che riescono a catturare l’attenzione del pubblico di molte fasce di età, trascinando insieme giovani e adulti in uno stesso turbinio di emozioni e delirio. Uno di questi esempi sono i Depeche Mode, il famoso trio elettropop che ha iniziato la sua carriera ormai quasi quarant’anni fa nei pub nell’Essex come Consequence of Sound e che ora si trova a riempire stadi e palazzetti ogni volta che decide di imbarcarsi in un tour mondiale dopo la pubblicazione di un nuovo disco. E ieri sera Bologna è stata testimone di questa piccola magia, questa forza di aggregazione che ha portato ragazzi dark e uomini in giacca e cravatta a ballare sugli spalti dello Stadio Dall’Ara al ritmo della stessa musica.
I Depeche Mode hanno chiamato a raccolta il popolo bolognese (e non solo) e la risposta della città è stata grandiosa, con lo stadio gremito (si parla di quasi 40.000 persone) che si è ritrovato per questa tappa italiana del “Global Spirit Tour” dopo quelle allo Stadio Olimipco di Roma e allo Stadio San Siro di Milano. Sotto l’ultima luce del sole si sono sentite le prime note di “Revolution” dei Beatles, canzone che i DM hanno battezzato come inizio ideale dei loro concerti, in una sorta di filo rosso che lega la loro musica alla tradizione musicale britannica e ai concetti espressi nel loro ultimo disco “Spirit”: dopo il remix strumentale di “Cover me” Dave Gahan, Andy Fletcher e Martin Gore salgono sul palco e comincia lo show vero e proprio, con le prime note di “Going Backwards” e “So Much Love“, canzoni tratte dal nuovo disco che superano a pieni voti la prova del pubblico.
I DM sono anche passato (recente e non) e lo dimostrano brani come “Barrel of a Gun” e “A Pain That I’m Used To“, che permettono a Gahan di gigioneggiare con il pubblico e di mostrare tutto il suo carisma da frontman (la rivista Rolling Stone lo ha definito come uno dei frontman più carismatici in circolazione e ha ragione, energia pura incontenibile sul palco). Dopo la bellissima “Corrupt” è tempo di tornare un pochino indietro nel tempo ad un disco “maledetto” come “Songs of Faith and Devotion” che segnò l’addio di Alan Wilder dal gruppo ma che portò anche brani come “In Your Room“, pezzo che rende in maniera fantastica dal vivo e che trascina il pubblico.
Le prime note di “World in My Eyes” vengono seguite da un’ovazione dei 40.000 del Dall’Ara: la canzone tratta da “Violator”è perfetta per scatenare il pubblico in un ballo sfrenato che viene solo blandamente placato da “Cover Me“. Gahan lascia il palco a Martin e lui tira fuori dal cilindro una versione acustica di “Judas” da brividi, pezzo che fa la sua comparsa dal vivo dopo tantissimo tempo e che riscuote tantissimo successo e apprezzamento da tutti: Martin con “Home“trascina tutti in un’altra dimensione e dopo la fine della canzone è il pubblico a cantare a sguarciagola l’inciso musicale “costringendo” la band a risuonare la musica per andare a tempo con lui sotto lo sguardo divertito di Dave.
Spazio al nuovo disco con “Poison Heart” e con il singolo “Where’s the Revolution” prima di tuffarci tutti insieme nei ricordi con una cinquina paurosa: si comincia con una versione di “Wrong” da pelle d’oca e si prosegue con “Everything Counts“, pezzo preferito a “Just can’t get enough” e che trova il pubblico a urlare e cantare a squarciagola. Si prosegue questo viaggio nei ricordi e appena risuonano le prime note di “Stripped” il pubblico va in visibilio, ma mai quanto con “Enjoy the Silence“, vero inno generazionale di tutti gli amanti dei Depeche Mode. Con il pubblico che agita le mani spinto da Gahan sulle note di “Never Let Me Down Again” si chiude la prima parte del concerto e i nostri tre vanno a riposarsi.
Il pubblico chiama a gran voce i suoi beniamini perchè non ne ha avuto abbastanza e l’encore trova un’altra volta Martin da solo sul palco insieme al pianista per una versione acustica e delicatissima di “Strangelove“. Rientra Dave e si riparte alla grande con “Walking in My Shoes“, altro brano che ha segnato un punto importante nella carriera dei DM, e poi il gruppo omaggia in maniera sentita e concreta David Bowie con una versione personale di “Heroes” mentre la coreografia sugli schermi, curata come al solito da Anton Corbijn, espone le bandiere a lutto. Ci si avvia ormai verso la fine di questo spettacolo ma i nostri tre beniamini hanno ancora un paio di cartucce da sparare e se le giocano alla grande, prima scuotendo lo stadio con una versione decisamente rock di “I Feel You” e poi con il loro brano forse più famoso, quella “Personal Jesus” che tutti hanno cantato a squarciagola sotto la luna felsinea con San Luca sullo sfondo. La band si raduna sul palco per il giusto tributo mentre il pubblico vorrebbe che questo momento non finisse mai: per fortuna il prossimo appuntamento è solo rimandato in inverno per la seconda parte del Global Spirit Tour. Perchè c’è sempre bisogno di un po’ di Depeche Mode nella propria vita. E perchè dal vivo sono davvero uno dei gruppi più bravi in circolazione nonstante i loro ormai 55 anni all’anagrafe per abilità musicale e capcità comunicativa con il loro pubblico.