“Heroin” dura sette minuti e dodici secondi, è uno dei brani contenuti nel leggendario “The Velvet Underground & Nico”, il banana album con la copertina di Andy Warhol.
I Velvet Underground, oggi parte fondamentale della storia della musica, erano nati per scandalizzare e le tematiche affrontate nell’album fecero rabbrividire buona parte della critica. “Heroin“, inevitabilmente, fece la stessa fine: un elogio dell’eroina che avrebbe portato i giovani ascoltatori alla dipendenza. Ma le cose stavano davvero così?
Lou Reed scrisse la canzone nel 1964, quando frequentava la Syracuse University, e il pezzo poi fu inserito nell’album nel 1967. La canzone venne registrata nei T.T.G. Studios di Hollywood insieme a “Venus in furs” e “I’m waiting for the man”, erano le prime tre canzoni del disco ad essere registrate. “Heroin” si sviluppa partendo da un inizio molto lento per poi diventare sempre più veloce, esprimendo esattamente la sensazione di un eroinomane nel momento in cui prende la sua dose. Tutto, improvvisamente, cambia e l’eroina ti permette di sentirti come “il figlio di Gesù”. I versi di Reed furono a lungo dibattuti, conoscendo la sua dipendenza (dalla quale si liberò solo pochi anni dopo, per passare alle metanfetamine) in molti pensarono che volesse elogiare la droga. Ascoltando bene il brano, tuttavia, si capisce che il cantante dei Velvet Underground si fosse limitato a descrivere le sensazioni procurate dall’eroina, l’esperienza, senza invitare nessuno ad imitarlo – tuttavia senza condannare apertamente il gesto. Oltre alle polemiche della critica, presto molti ragazzi raccontarono a Reed di aver provato per la prima volta l’eroina dopo aver ascoltato la canzone. Ovviamente lui non la prese bene e per diverso tempo esitò a cantare il pezzo in pubblico, proprio perché gli effetti erano esattamente il contrario di ciò che avrebbe voluto.
Superate le polemiche e lo shock iniziale, “Heroin” è diventato uno dei brani più importanti della carriera di Lou Reed, oltre che della storia della musica. Inizia col suono lento della chitarra di Reed, accompagnato dal ritmo ipnotico della chitarra ritmica di Sterling Morrison, la batteria di Maureen Tucker e il violino elettrico di John Cale. Tucker ha raccontato che nel momento in cui il suono si fece più denso e il ritmo più veloce, si fermò perché non riusciva a sentire più niente. Questo si sente chiaramente anche nel brano, poi la batteria riprende lentamente il suo tempo, accompagnando la canzone sul finale quando, ormai in preda all’estasi, Reed si abbandona completamente alla droga: estraniato dal mondo, dalla politica, dai morti ammucchiati l’uno sull’altro, senza sapere più niente.
Photo by Brendan Church