Sigur Ros: “Kveikur”. La recensione

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Sigur Ros - Kveikur

Kveikur” è arrivato come giungono le notizie belle, quelle inaspettate.
I Sigur Ros hanno annunciato la lavorazione del disco attorno a novembre 2012 e da allora i mass media si sono concentrati sulle poche indiscrezioni trapelate che parlavano di un “anti-Valtari“. La prima canzone che è uscita allo scoperto è stata la meravigliosa “Brennisteinn” posizionata proprio ad inizio “Kveikur”. I Sigur Ros portano avanti una delle loro caratteristiche fondamentali, l’infinito suono. Ultimate le nove canzoni esse risultano molte di più, è come se il suono dilagasse ovunque, fino a raggiungere orizzonti infiniti, orizzonti che solo grazie alla magia musicale dei Sigur Ros diventano visibili, seppur rimangano assolutamente intoccabili. Ritornando a “Kveikur”, una piccola precisazione d’obbligo. Le critiche alquanto insensate, a giudizio personale naturalmente, sul suono “duro” tanto promesso e non mantenuto non hanno ragione d’esistere: “Kveikur” è sicuramente uno dei dischi più “oscuri e tenebrosi” dei Sigur Ros. La band non ha mai promesso di divenire, improvvisamente, una band metal, ha solo indicato un cambiamento di stile, ben mantenuto e udibile, soprattutto grazie a perle come “Brennisteinn”. La musica sognante dei Sigur Ros non è scomparsa, si è semplicemente evoluta, inglobando un suono dove lo stato d’allerta è uno dei protagonisti principali. Chitarre piene di tensione e un rock che rimane sempre propriamente personale, un rock alla Sigur Ros.

Sigur Ros
Sigur Ros

Sigur Ros – “Kveikur”, Track-By-Track

Brennisteinn” è la canzone migliore dell’intero album. Bella da far venire brividi su tutto il corpo. Bella da trasportare l’ascoltatore in un altro mondo. 7.45 minuti di cambi vistosi di stile. Un suono buio, distorto, che porta l’ascoltatore per mano proprio nel cuore di questo disco che, nessuno s’aspettava. “Valtari” targato solo 2012 è ancora vivido nella memoria ma c’era bisogno di una svolta, di un passo avanti in una direzione diversa. C’era bisogno di “Kveikur”. Una dimostrazione chiara delle capacità della band, un suono che trova la sua collocazione nello zolfo, traduzione letterale di “Brennisteinn”. Le chitarre, la batteria e l’elettronica si mischiano per creare una traccia che rimarrà ben fissa nella memoria dei fan, e non solo.

Sigur Ros - Kveikur - Artwork
Sigur Ros – Kveikur – Artwork

Si passa a “Hrafntinna” dove la protagonista è la soave voce di Jonsi che raggiunge colori impensabili. Un brano che risulta malinconico e lucente, trascinante, in grado di abbracciare l’ascoltatore facendo venir voglia immediatamente di preparare la valigia per l’Islanda. Una litania che trova il suo motivo d’essere proprio contrapposta ad un pezzo “pesante” come “Brennisteinn”; dove la prima è rabbia sonora, la seconda è un’epica ballata. Dopo le chitarre distorte, i beat e gli inserti industrial, l’ascoltatore ha quasi bisogno di essere rassicurato, di essere portato a casa e “Hrafntinna” svolge proprio questo ruolo. Cristallina.

Terzo brano “Isjaki“. La canzone è una perla di positività pop, si scorge un mondo in cui i Sigur Ros ci hanno già accompagnato negli scorsi anni ma mai così a fondo. I cambiamenti repentini nella musica sono difficilmente apprezzabili e i Sigur Ros pur modificando il suono in alcuni aspetti, rimangono ben ancorati alla loro musicalità, anche perché non avrebbe molto senso mutare quando ci si ritrova a saper sapientemente gestire dei muri sonori del genere. “Isjaki” scorre veloce, limpida, pregna di una dolcezza infinita.

Ci avviciniamo alla metà del disco con “Yfirboro” che è una pura distorsione dove le melodie la fanno da padrona, grazie come sempre ad una voce angelica che sa fare quel che vuole, che riesce a sfiorare la perfezione, passando da una traccia all’altra, senza troppi scossoni, creando però una destabilizzazione globale. “Stormur” è un crescendo che sfocia quasi in un brano strumentale perché la voce di Jonsi viene utilizzata proprio come uno strumento, una melodia che spazia fra dolcezza e quel senso d’immaterialità, di paesaggi astratti, sempre ben vivido quando si parla dei Sigur Ros che permettono all’ascoltatore di fare dei veri e propri viaggi.

Kveikur” riprende il suono duro di “Brennisteinn” proponendo dei Sigur Ros avvolti in un fitto abito fatto di nebbia. L’ascoltatore sprofonda in un profondo oceano nero e inquietante, dove il suono invita quasi ad una marcia, ad una veloce corsa sotto la tempesta metallica.

Rafstraumur” riporta i Sigur Ros ad un suono già ben conosciuto, soave e sognante, dove la voce di Jonsi si muove su un crescendo continuo. Una ninna nanna alternativa. Una ninna nanna alla Sigur Ros.

Se “Brennisteinn” è il pezzo rabbioso e “Stormur” risuona metallico ed inquietante, “Blapraour“, penultima traccia di “Kveikur”, ci riporta agli inizi, ad un crescendo evocativo che scuote inevitabilmente l’ascoltatore per la sua intensa profondità o profonda intensità.

Si conclude il disco con “Var” dove sono gli strumenti a farla da padrona, si passa dal piano all’organo fino agli archi immersi in un disco sicuramente non “da primo ascolto” ma che aumenta di voto ad ogni ascolto. I Sigur Ros non hanno mai voluto essere facili, anzi, hanno inventato un linguaggio apposito proprio per “nascondersi”, per far parte di un mondo da guardare ma non da toccare. “Kveikur” è un disco da 9 su 10, dove 10 è riservato solo ai grandi capolavori della storia, anche se la tentazione di dare il voto massimo possibile ad un disco del genere era molta. Un nove pieno, ad un album che ruggisce ed incanta grazie ad un paradiso di colori.

 

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