Senza Fine: la poesia e il fascino di Gino Paoli

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La vita è curiosa. Credi di poterti esprimere con i mezzi che senti tuoi, e poi invece ti porta su altre strade e ti dà nuovi utensili da imparare ad usare come un artigiano. Succede a molti, forse a tutti, nelle cose piccole o grandi della vita. E per alcuni il cambio programma non previsto e non voluto, porta a strade altrettanto inaspettate e ricche di scoperte. Uno vuole fare il pittore, usare colori e pennelli per tracciare la mappa della ricerca della sua esistenza e poi senza volerlo, per caso, per gli incontri della vita, si ritrova a dipingere il suo percorso personale con i toni delle note e della voce, con le parole e gli strumenti musicali. Così è stato per Gino Paoli. E il suo percorso diventa quello di centinaia di persone che apprezzano e amano le sue pennellate musicali da anni. Il Teatro Filarmonico di Verona nella sua maestosa cornice all’italiana è gremito per il tour Senza Fine, disco uscito nel 2009. Calano le luci, il brusio cede il passo ad un vibrante silenzio d’attesa e con passo dinoccolato, entra, in blu con giacca nera, Gino Paoli. Apre le porte di “casa sua” con l’autobiografica La gatta facendo assaporare subito al suo pubblico un’atmosfera intima di calma. Tutto il concerto si può assaporare ad occhi chiusi, cullati dalla sua musica come onde del mare. Se il mare che dice che l’ha plasmato come plasma le coste, i rami e i sassi è sempre presente anche quando non lo canta esplicitamente, anche il cielo è altrettanto vivo nelle canzoni di un uomo che è sempre teso verso l’alto.

Gino Paoli
Gino Paoli
Potrebbe andare avanti per ore, senza stancarti, anzi facendo crescere una sensazione di calma e libertà. Il pubblico come i protagonisti di Perduti si ritrova a fare l’esperienza della scoperta inattesa di pace in mezzo al caos del quotidiano. Eppure nella lievità del concerto e delle canzoni non c’è mai banalità e tanto meno superficialità; il suo andare “con l’anima” rappresenta una costante ricerca di senso nella vita, umana quanto artistica, e invita a diffidare da chi ha risposte pronte e definitive perché come L’uomo che vendeva domande il suo “dare significa soprattutto dare domande“. Con innata classe ed eleganza ondeggia sul palco tra i tappeti dai toni caldi e si muove tra una canzone e l’altra che ripercorre la carriera arrivando ad un esplosione con la partecipazione del pubblico in Sapore di Sale perché, dice, “La canzone è un’arte povera ma ha il vantaggio che ‘diventa’, come fossero di proprietà di chi le canta, come un arnese per un artigiano. E alcune poi diventano altro e non sono più solo del compositore e del cantante. Ma diventano del pubblico“. La sua voce unica, espressiva e moderna come poche, lega con rara bellezza significante e significato nelle melodie che ti si attaccano dentro e donano alle storie del quotidiano che canta un respiro più ampio, universale nell’elogio costante e testardo al dubbio, persino allo sbaglio senza il quale non saprebbe vivere neanche in Due Vite. Due ore di concento, 25 brani offerti al pubblico e la conclusione arriva con la meravigliosa melodia circolare di Senza Fine che ti lascia il sapore di un arrivederci, di un discorso appena abbozzato in attesa della prossima occasione ricordando che “La poesia non è quella che ha un titolo sui libri. La poesia è una maniera, un modo di guardare le cose, un modo di vivere, è una strana signora, un po’ matta, che non si sa quando arriverà, su una via di periferia che sembra sporca anche se è pulita, o che sembra bagnata anche quando è asciutta“. Dannia Pavan

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