Su queste pagine abbiamo già parlato abbondantemente del fenomeno del secondary ticketing: per una volta ci poniamo dall’altro lato della barricata vogliamo dare il diritto di replica (come richiestoci) da Ticketbis, sito spagnolo di secondary ticketing che ha visto il suo volume di affari e i suoi profitti passare dai 5.5 milioni di euro guadagnati in 8 paesi con 50 dipendenti al seguito del 2011 agli oltre 90 milioni del 2015 guadagnati in 42 nazioni con oltre 400 dipendenti a libro paga.
Ticketbis ha un meccanismo particolare dove il venditore del biglietto riceve il pagamento solo dopo che l’acquirente ha partecipato all’evento, cercando così di tutelare l’autenticità del biglietto e l’acquisto. Nel caso l’invio dei biglietti non dovesse avvenire in tempi utili Ticketbis proporrà all’acquirente altri biglietti in grado di soddisfare le medesime/simili richieste. Questo trasforma la startup iberica in una piattaforma di mediazione tra acquirente e venditore, intervenendo in tutela di entrambe le parti qualora gli accordi presi dovessero violare le condizioni di utilizzo.
Come funziona questo mercato in Italia? Un quarto degli italiani ha cercato metodi alternativi per acquistare biglietti di eventi “sold out”, con punte del 40% tra i giovani compresi tra i 18-24 anni e del 47% tra i 25-34. Di quelli che hanno cercato metodi alternativi per acquistare biglietti, il 41% ha cercato su un marketplace online, il 49% sui social network e il 67% si è rivolto a familiari e amici.
Come guadagna Ticketbis su tutto ciò? Semplice, attraverso le commissioni sulle compravendite. La quota che la piattaforma trattiene varia da Paese a Paese, ma arriva fino al 25% del prezzo di vendita. Ma guai a parlare di speculazione, come dice Ander Michelena, CEO e cofondatore di Ticketbis.: “Non è speculazione. Perché secondo i nostri sondaggi nel 95 per cento dei casi chi rivende un biglietto lo fa perché non può usufruirne, e vuole recuperare tutto o una parte di quello che ha speso. Solo il 5 per cento rivende un biglietto per trarne un beneficio economico”.
Da poco la stessa Ticketbis ha commissionato una ricerca ad APCO Insight per comprendere il comportamento degli italiani e il loro atteggiamento nei confronti del fenomeno del “secondary ticketing”. Secondo questo studio il 63% degli italiani crede che un biglietto acquistato diventi loro proprietà personale e che debbano poter avere il pieno controllo sul suo utilizzo: in caso non sia più in grado di partecipare ad un evento, la metà degli intervistati ritiene sia giusto avere la possibilità di rivendere a chiunque i biglietti inutilizzati e si sente più sicura se compra un biglietto per un evento “sold out” su un marketplace online.
La ricerca analizza anche l’atteggiamento degli italiani nei confronti delle recenti norme sul “secondary ticketing” promosse dal Ministero della Cultura: il 38% ritiene che tutti gli attori toccati da questa decisione (associazioni dei consumatori, piattaforme di rivenditori di biglietti, artisti, etc.) dovrebbero essere coinvolti nel processo decisionale relativo alla rivendita di biglietti ma solo il 16% reputa giusto consultare soltanto le associazioni che rappresentano i proprietari di diritti d’autore, come ad esempio la SIAE, ed il 40% crede che il governo abbia proposto questa normativa in risposta alla pressione dei media su questo argomento.
Queste le parole di Ander Michelena a riguardo: “Come dimostra questa ricerca, la rivendita di biglietti rappresenta una questione complessa che necessita di essere compresa sotto tutti i suoi aspetti. La normativa promossa dal Ministero della Cultura è stata una decisione affrettata, che spingerà la rivendita di biglietti verso il mercato nero, senza in alcun modo risolvere le questioni emerse di recente sui media. Apprezziamo l’iniziativa della Commissione Cultura della Camera dei Deputati che, nell’ambito di un’indagine conoscitiva, ha avviato una consultazione dei soggetti interessati. Tuttavia, questo processo sarebbe dovuto avvenire prima. Incoraggiamo i decisori politici a compiere ogni passo necessario per correggere una regolamentazione che rischia solo di danneggiare i consumatori italiani, creando allo stesso tempo un clima di sfiducia per le start-up e per gli attori del settore tech nei confronti delle istituzioni e del contesto imprenditoriale del paese.”
Ci permettiamo di esprimere il nostro pensiero: capiamo perfettamente le ragioni di Ticketbis, ma viste le vicissitudini italiane che hanno portato a “Bigliettopoli” e tutta la valanga giudiziaria che ancora si deve scatenare (e che si scatenerà, statene certi) e considerando che il giro d’affari stimato del Secondary Ticketing è di circa 8 miliardi di dollari guadagnati sul portafoglio degli utenti, siamo cattivi nel pensare che il fenomeno del “secondary ticketing” dovrebbe essere smantellato o quantomeno fortemente limitato attraverso regole chiare, uso di software anti-bagarinaggio, controllo degli IP dei compratori, check degli indirizzi email, dei numeri delle carte di credito e dei dati personali per evitare acquisti ripetuti? Perché è tutto molto bello (cit.) ma quando vedi sulle piattaforme di secondary ticketing a prezzi esorbitanti i biglietti di un concerto a cui vorresti andare e che non sono stati ancora messi in vendita dal rivenditore ufficiale un paio di domande te le fai. E partono anche un paio di imprecazioni, possiamo assicurarlo.