Correva l’anno 1991 e mentre il mondo impazziva per il grunge, da San Francisco emergeva un’alternativa più soft, i Counting Crows di Adam Duritz. Di tempo ne è passato da allora e la musica si è evoluta, contaminata, ma i CC mantengono tuttora il loro stile rock-malinconico, che abbiamo ascoltato nella seconda tappa del Pistoia Blues Festival.
La serata del 3 luglio è stata aperta dalla splendida voce di Arianna Antinori, blueswoman a 360°, arrivata a Pistoia con i fan al seguito. Energica e con la voce graffiante di Janis Joplin, vedere (o meglio, sentire) per credere. Tanta grinta e blues di qualità per un’artista che forse meriterebbe più spazio in Italia.
I Counting Crows sono saliti sul palco poco prima delle dieci, attaccando con uno dei loro primi brani, “Rain King“. Il tempo del grunge è finito, ma nemmeno Adam Duritz e soci sono più quelli di una volta: appesantito e con la sua calda voce un po’ meno resistente, il frontman ha svolto il suo lavoro – tecnicamente – senza infamia e senza lode, concedendosi però spesso e volentieri ai fan, interagendo con loro e incitandoli a partecipare fino all’ultimo, anche dopo “Holiday in Spain“, quando è partita “California Dreamin‘” dei Mamas and Papas per segnare la chiusura del concerto. Purtroppo dopo il sold out del 1° luglio registrato dai Mumford & Sons, il concerto dei Counting Crows si è ritrovato penalizzato da una scarsa presenza di pubblico. Il gruppo di certo non si è tirato indietro ed ha regalato pezzi importanti, conosciuti ed amati come “Mr. Jones” (ma senza “sha la la la la la la” iniziale, blasfemia!), “Big Yellow Taxi” (cover di Joni Mitchell), “Round Here” e la famosissima “Colorblind“, con l’aggiunta di un omaggio all’indimenticabile Lou Reed con “Pale Blue Eyes“.
Al di là dell’atmosfera meno caotica rispetto alla data precedente, il pubblico si è rivelato compatto e accogliente, i Counting Crows continuano a far parte di un pezzo di storia importante della musica internazionale ma rispetto a molti altri suoi colleghi, Duritz non si può definire un vero e proprio mostro da palcoscenico. Una serata piacevole, ma non memorabile, nonostante pezzi come “Omaha” e “A long december“, che hanno contribuito a creare quell’atmosfera romantica e allo stesso tempo dolcemente triste, blue, come solo i CC sanno fare.