Robert Plant è l’ultimo sciamano del rock. Sarà che chi scrive è cresciuto con i Led Zeppelin, ma bisogna riconoscere – senza riserva – che Plant è riuscito nell’ardua impresa di far suo lo spirito della più grande rock band al mondo per dargli una nuova forma. Un nuovo sound. Una nuova vita. Osannato e idolatrato da più generazioni, il suo carisma e le sue movenze restano intatte come se il tempo non fosse mai passato. Oggi è di diritto nell’olimpo del rock.
La prima cosa che ti colpisce è la semplicità, il modo in cui diverte e si diverte con il pubblico: eterogeneo e multiforme, un po’ come la sua musica con the Sensational Space Shifter (Dave Smith, batteria – Juldeh Camara, violino africano banjo africano e kologo – Liam “Skin” Tyson, banjo e chitarra – Billy Fuller, basso – John Baggot, tastiere – Justin Adams, bendit djembe e chitarre). Li presenta uno ad uno alla fine di “Dazed and Confused”, che con “What is and what should never be”, “How many more times”, “Black Dog“, “Babe I’m gonne leave you”, “Whole Lotta Love”, “Rock and Roll” e “Going to California” sono gli unici brani in scaletta che portano il marchio Led Zeppelin. Ma per nulla uguali all’originale, tutti (ri)arrangiati secondo lo stile made by the Sensational Space Shifter. Il contrario sarebbe un oltraggio. E Robert Plant lo sa.
Camicia di seta color turchese, pantaloni neri e la chioma di capelli riccia. Unica. Il pubblico dell’Arena Flegrea di Napoli va in estati appena Robert Plant sale sul palco. Da lì un saliscendi di sonorità folk, blues, musica celtica, tappeti di tastiere e il tintinnìo del banjo e del violino sono un toccasana per l’orecchio dei presenti. Un viaggio. “Poor Howard”, “Turn it Up”, “Rainbow”, “Little Maggie” sono estratti dall’ultimo lavoro discografico di Robert Plant & the Sensational Space Shifter, “Lullaby and…The Ceaseless Roar” (2014). Un sognatore, figlio dei fiori, capace come nessuno di (re)inventarsi portando con sé i vecchi fantasmi. Che fantasmi poi non sono.
La voce. Scandita dal tempo, ancora capace – pero’ – di regalare brividi e scompiglio, i vocalizzi e gli sfottò con il pubblico che proprio non ne vuole sapere di restare seduto. Robert Plant chiama, il pubblico canta. Dai nostalgici ai giovanissimi, ai curiosi. “Tonight it’s a very special night, I love the neapolitan sound, I know your ballads…” e si guadagna una standing ovation. La luna entra di prepotenza nel cielo di Fuorigrotta, Robert Plant accarezza tutti con the Sensational Space Shifter. Saluta per ben due volte, ma è costretto a rientrare perché il pubblico lo acclama. “Blueburds over the mountain / Rock and Roll” e “Going to California” decretano la fine del concerto. Ma non del mito.
Le espressioni e le movenze e la voce sono il marchio di fabbrica di Robert Plant che tuttavia gioca ad interpretare se stesso in una nuova veste, senza mai (s)cadere nel fantasma del suo mito e di quello dei Led Zeppelin. The Sensational Space Shifter non passano mai in secondo piano, capaci di accompagnare a ritmo di musica i presenti in questo viaggio musicale. Passato e presente. Il pubblico è rapito dal carisma di Plant: lui è senza dubbio l’ultimo sciamano del rock.