Rag’n’Bone Man: “Human”. La recensione

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Da pochi giorni è uscito “Human”, il primo album di Rag’n’Bone Man, che ha già conquistato tutti con  l’omonimo singolo diventando numero uno su iTunes in 25 Paesi (tra cui l’Italia) e Top10 in 37 Paesi,  numero uno su Shazam in 8 Paesi (Italia compresa) e raggranellando più di 94 milioni di stream totali su Spotify e più di 121 milioni di visualizzazioni totali su Vevo/YouTube. Questi numeri hanno portato Rag’n’Bone Man ad aggiudicarsi il prestigioso Brit’s Critics Choice Awards 2017 e ha ottenuto la nomination come British Breakthrough.

Eppure Rag’n’Bone Man, all’anagrafe Rory Graham, se lo si vede da vicino può generare qualche timore col suo fisico imponente e con i suoi tatuaggi… ma è un’impressione fallace, visto che Rory è l’esatta incarnazione del gigante buono e barbuto, con le parole “soul e funk” impresse con l’inchiostro sulle sue nocche. Cresciuto ad Uckfield, a 20 miglia dalla costa di Brighton, in una famiglia in cui si è sempre respirata musica, all’età di 15 anni inizia a suonare in una band drum‘n’bass sotto lo pseudonimo di Rag ‘N’ Bonez, nome ispirato alla sitcom Brit anni ‘70, “Steptoe And Son”. Dopo essersi trasferito a Brighton e aver testato le sue capacità di rapper fonda con Gizmo e DJ Direct la crew The Rum Committee pubblicando un album via Bandcamp.

Graham non si ferma però e cerca nuove strade per esprimere il suo talento e nel 2014 pubblica l’EP “Wolves“, contenente nove tracce, dove si sente la sua predilezione per i giganti del jazzy hip hop come Gang Starr e dove mette a segno alcune importanti collaborazioni con Vince Staples, Stig Of The Dump, e Kate Tempest. Questo lavoro suscita l’interesse della Columbia Records con cui ripubblica “Wolves” e stampa un altro EP, “Disfigured“, in cui opta per un suono più spoglio, ispirato alla musica di Al Green. Dopo questo album Rory ha trascorso l’inverno a lavorare sul suo album di debutto insieme al produttore Mark Crew, a Two Inch Punch, aka Ben Ash (che ha lavorato come co-compositore / produttore per Sam Smith, Jesse Ware e di Damon Albarn), e a Jonny Coffer (un altro produttore, il cui curriculum spazia dal brano “La La La” di Naughty Boy’s alle tracce del recente album di Beyoncé).

Le premesse sono pesanti, e d’altronde il successo di “Human” non lascia spazio a dubbi: la title-track, che è anche il primo pezzo del disco, è un brano potente e coinvolgente, che grazie ad una base scarna ma efficace fa risaltare la voce carica e potente di Graham. “Innocent man” è invece un classico pezzo di soul pop, dove le melodie sono un poco più addolcite e dove la voce di Rag’n’Bone si azzarda anche in un falsetto, e sulla stessa falsariga si inserisce “Skin“, pezzo molto moderno che immola parzialmente le qualitò vocali di Graham all’altare del mainstream e della commercialità.

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Rag’n’bone – “Human” – Cover

Le cose migliorano con “Bitter End“, pezzo dalle giuste atmosfere dark e dove la prova vocale di Graham riscatta i passaggi precedenti (farebbe un figurone come sigla di qualche serie televisiva, ve lo garantiamo). Dopo il buio c’è la luce (almeno apparente) di “Be The Man“, bel pezzo ritmato che coinvolge e affascina, e la bella prova vocale di “Love You Any Less“, primo pezzo lento del disco e prima prova vocale vera e propria per Graham che affonda le radici nel soul con una punta di gospel. Non ci allontaniamo troppo dai sentieri tracciati precedentemente con “Odetta” e “Grace”, due pezzi minimali che servono solo a far risaltare la voce del cantautore britannico.

Ego“ha già un piglio decisamente diverso, molto più street style, con un suono sporco e molto più urbano dove si mescolano accenni di jazz e una parte in rap che rendono il pezzo molto apprezzabile: l’effetto stereo inziale di “Arrow” fa presupporre una grandissima canzone soul all’inizio ma il ritmo improvvisamente si smorza e lascia un pochino interdetti. Le cose non migliorano con “As You Are“, brano che ha qualche accenno alla Lauryn Hill ma che sono comunque troppo poco per farne apprezzare appieno il suo potenziale. Il disco termina con “Die Easy“, brano solamente cantato che suggella le capacità canore di Rag’n’Bone.

A questo disco manca qualcosa. La voce di Rag’n’Bone è pazzesca, il suo timbro vocale è magnifico, tutto è perfetto dal punto di vista vocale. Se andiamo però ad analizzare il lato musicale ecco che la situazione si incrina leggermente e cambia il discorso: questo album è dannatamente lento, tutte le canzoni sembrano avere il freno a mano tirato (“Arrow” ne è l’esempio più lampante) e c’è un vago senso di incompiutezza che aleggia in tutto il lavoro. In questo progetto mancano un paio di canzoni con una bella big brass band che esaltino al meglio la voce fantastica di Rag’n’bone ma invece si è preferito privilegiare il lato “urban”, con canzoni dalle melodie lente e “moderne” ma che non sembrano avere anima. “Human” è un disco a metà.

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