C’era una volta il prog rock. Che vede le sue radici probabilmente tra il 60 e il 70 in artisti come Genesis, Yes, King Crimson, Emerson, Lake & Palmer, Jethro Tull.. ma che poi arriverà anchea ai Beatles di Sgt. Pepper, ai Queen di Bohemian rapsdody, passando per Pink Floyd, Procol Harum e Aphrodite’s child, fino ad arrivare ai più pesanti Dream Theater, senza però dimenticare Radiohead e Sigur Ròs che sotto alcuni aspetti ne portano avanti ancora oggi i concetti. In Italia, ma il successo poi arrivò altrove, è impossibile non ricordare PFM e Banco di Mutuo Soccorso, veri precursori della scena prog italiana e mondiale. C’era poi il concept album, che andava a braccetto proprio con il progressive rock. Un disco interamente dedicato a qualcosa, o meglio, con una storia che parte dalla prima traccia e termina con l’ultima. La scelta di questo tipo di pubblicazione non è quasi mai facile. Ai tempi storici dei vinili forse poteva sembrare più semplice. Si abbassava la puntina e si partiva per il viaggio. Gli ultimi, in ordine di tempo, a cimentarsi con un concept album sono stati forse i My Chemical Romance con il loro recentissimo “Danger Days: The True Lives of the Fabulous Killjoy“, non senza “scontentare” parecchi fan, anche forse per essersi un po’ discostati dalla scena emo che tanto gli aveva dato con “The Black Parade”. Una scelta non facile quindi. C’è poi da considerare anche la “nuova” ondata di opera rock ritornata in voga anche grazie ad artisti come Riccardo Cocciante, con il suo Notre Dame de Paris, senza dimenticare il We Will Rock You basato sulle musiche dei Queen e gli spettacoli del Cirque du Soleil, che han portato la musica nei teatri sottoforma di vere opere riprendendo lo stile più classico del termine. Questa la lunga, ma indispensabile, premessa per presentare il nuovo lavoro dei Quintessenza, “Nei giardini di Babilonia”. Terzo album per la band di Volterra che ha richiesto qualcosa come dieci anni di lavorazione. Praticamente era diventato una fissazione che ha trovato pace solo con la pubblicazione dell’album. Album che è, a tutti gli effetti, un’opera rock. Un concept album di prog rock con strizzatina d’occhio alla musica metal melodica anche se non mancano influenze classiche sia nella composizione che nell’esecuzione. Un disco suonato bene, niente da dire, ma probabilmente troppo difficile. Di sicuro per il mercato. Ma, come detto prima, questo lavoro è frutto di una fissazione dai quali i Quintessenza avevano bisogno di uscire. Lodevole quindi il fatto di aver portato a termine, finalmente, questo sogno. Diego Ribecchini ha una voce davvero piacevole che in alcuni punti, e non credo di essere il primo a notarlo, ricorda quella di Francesco Renga. Acuti da vero leader metal anni settanta, recitazione e lirica, si alternano sopra le melodie di queste 13 tracce che raccontano della caduta e dell’ascesa di un uomo qualunque attraverso i percorsi immaginari dell’anima, i giardini di Babilonia appunto, che lo porteranno a confrontarsi con il proprio io e, infine, a liberarsi di ogni paura e a raggiungere una vita nuova. L’asticella, come si comprende, è posizionata molto in alto e quindi risulta un qualcosa di davvero difficile, sia da realizzare che da ascoltare. Resta da decidere se siano più meritevoli quegli atleti che eseguono un esercizio perfetto ma con coefficiente di difficoltà molto basso oppure quelli che scelgono qualcosa di decisamente meno semplice e, comunque, riescono in qualche modo a portare a termine l’esibizione, anche se con qualche sbavatura. Una sfida anche personale quindi, come nello sport. E forse il percorso del protagonista di questo concept album è in qualche modo anche quello intrapreso dai componenti del gruppo, cantante in primis, nei confronti della musica e della vita in generale. Un interessante parallelismo tra finzione e relatà che rende questo album ancora più interessante. Resta comunque un lavoro assolutamente di nicchia, ben scritto, ben musicato, ben suonato. Dall’interno del cd è poi anche scaricabile un vero e proprio libretto, proprio cone nell’opera, che fa da compendio all’album stesso. Non è stata tralasciata quindi nemmeno la parte grafica, da sempre parte integrante dei lavori prog e dei concept album, proprio come negli anni d’oro di questo movimento. Nei giardini di Babilonia, oltre che per i contenuti anche per il coraggio, merita la sufficienza, e forse anche qualcosa di più. Essere nel 2000 ti permette anche di osare un po’ di più, soprattutto se vai a esplorare un campo che nel 2000 sembra proprio non volerci arrivare. Ma complici anche le nuove ondate di concept album e soprattuto opere rock destinate al grande pubblico non è da escludere che tutto questo possa ritornare i voga, o meglio uscire dalle nicchie nel quale risiede beato da 50 anni ormai. Quel che mi piacerebbe personalmente, ed è quello a cui continuo a pensare mentre ascolto e riascolto il cd, è poter vedere questa vera e propria opera rock in scena su un palco vero, in un teatro vero. Avrebbe tutto molto più senso, anche il cd stesso. Quel che sembra è che questo album sia come un souvenir da portare a casa, dopo aver assistito a uno spettacolo teatrale, per rivivere le sensazioni del palco. E letta così sarebbe un’operazione ancora più importante se non monumentale. Che probabilmente funzionerebbe. Bravi ai Quintessenza, la sostanza c’è. Il coraggio pure.