Project-TO: “The white side, the black side”. La recensione

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Per questo disco dobbiamo abbandonare le recensioni “normali” ed essere sperimentali, così come il lavoro di cui stiamo per parlare. Il collettivo torinese Project-TO ha deciso di mettere nero su bianco (parole quanto mai azzeccate) un progetto “autoriale” di musica e visual formato dal noto sperimentatore e studioso del suono Riccardo Mazza (che vanta prestigiose collaborazioni con Battiato, Gaber e Baccini), dalla fotografa/videomaker Laura Pol (autrice di numerosi lavori in ambito artistico, culturale e museale) e dal pianista/tastierista Carlo Bagini (già con Statuto, Righeira, Rettore).

Questo progetto dal nome “The White Side, The Black Side” nasce dall’interazione di elementi puramente elettronici con composizioni originali eseguite dal vivo insieme agli elementi visivi anch’essi eseguiti in tempo reale durante il live set. Ovviamente, considerata la sua natura di forte impatto visivo, è veramente difficile mettere su carta un progetto del genere, in continua evoluzione e che trasforma lo spazio in cui vive, generando performance live differenti ad ogni esibizione. Proveremo quindi anche noi ad essere originali.

“The White Side, The Black side”è l’album di debutto di Project-TO, registrato negli studi di Interactivesound a Torino: il disco è stato realizzato completamente in funzione del live set e vede due anime contrapporsi, quella del “white album“, dove regna l’elettronica/big beat, e quella del “black album“, dove la fanno da padrone le atmosfere più techno ambient/dark. Questo disco ha tanti padri (Chemical Brothers, DeadMau5, Crystal Method, Ancient Methods, Not Waving, Apparat, Andy Stott e Matthew Herbert) ma è al contempo figlio di se stesso, delle sue sensazioni, delle sue visioni e dei suoi pensieri, generatisi durante ogni esibizione come nuovi, senza possibilità di ripetizione, il tutto associato a dei video che sono parte integrante del progetto e che raccontano una storia. Noi ci affideremo solamente alla musica.

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Project-TO – “The White Side, The Black Side” – Cover

Più che parlare delle canzoni, è questo il caso in cui dobbiamo parlare dei due album nel loro complesso: ogni disco è composto da sei tracce e sono una lo specchio dell’altra, e noi non siamo altro che moderne Alici che attraversiamo lo specchio per rituffarci in una realtà più oscura o più chiara a seconda del lato che sceglieremo di varcare. Le canzoni hanno lo stesso titolo (a parte un prefisso “Black” per le canzoni del “Black Album”) e sono tutte figlie dell’elettronica, anche se hanno preso strade diverse.

Cominciamo a parlare dei brani “white”: “I-Hope” è un brano elettronico dal ritmo sensuale e dall’incedere quasi urbano dove troviamo il discorso di apertura al Parlamento indiano di Indira Gandhi e che richiama alla mente le prime esperienze dei Recoil, mentre “Sign of the Earth” ha un suo aspetto mistico, quasi goa, grazie ai canti tibetani e alla campionatura del sitar, senza disdegnare i riff delle chitarre elettriche. “Look Further” invece sfrutta la potenza e la suggestione dei canti gregoriani per un pezzo big beat molto tranquillo e senza troppi fronzoli e con “Rebirth” ci spostiamo in Africa a raccogliere l’eredità di Goldie e dei primi Prodigy. Con “Ya-Ho” entriamo nel regno dell’ambient mentre con la finale “Roger” chiudiamo il disco nel segno della techno e del drum’n’bass.

Parliamo ora dei brani “black”: in pratica ci troviamo di fronte ad una sorta di “negativo fotografico” delle canzoni del disco “white”, un’interpretazione della canzone corrispettiva dove l’arrangiamento più techno/dark ha modificato profondamente le sonorità e la stesura, mantenendo però la stessa esatta durata.Ne è una riprova “Black I-Hope“, completamente differente rispetto alla sua gemella, molto più robotica e frammentata: non sfugge a questa logica nemmeno “Black Sign of the Earth” che passa dai mantra tibetani ad un ossessionante drum’n’bass. Un certo spirito sacro aleggia ancora in “Black Look Further” ma si perde nel tempo e nelle battute elettroniche, come se fossero interferenze elettroniche, quasi aliene. “Black Rebirth” mantiene ancora un senso della canzone iniziale ma le battute sono dilatate e la canzone acquisisce una sua piacevole linea melodica e anche “Black Ya-Ho” continua ad essere ambient anche se a modo oltremodo suo e sembra uscita da un film di Cronenberg. Chiude il disco “Black Roger”, un pezzo che sfocia nel noise e nell’industrial mescolandoli con il drum’n’bass.

“The white side, the black side” è un progetto più che un disco: una narrazione per immagini e suoni di sei momenti ben precisi che portano con se sia il lato più luminoso e vivo delle cose che i risvolti oscuri e cupi delle stesse, come in una casa degli specchi dove il viaggio musicale, onirico e spirituale si evolve, muta, va e torna in due mondi differenti che solo in alcuni momenti si incontrano e solo di sfuggita, proprio come accade per il sole e la luna. E’ un disco particolare ma vi consigliamo caldamente di gustarvi l’esperienza nel suo complesso e di andare a vedere tutta l’installazione artistica in modo tale che anche le canzoni trovino un senso più preciso e una loro collocazione.

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