Prodigy: “The day is my enemy”. La recensione

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Prodigy - "The day is my enemy" - Artwork

Anticipato dal singolo “Nasty“, è uscito “The Day Is My Enemy“, il sesto album dei Prodigy a distanza di ben 6 anni dal precedente “Invaders must die“.
Con degli anni di distanza dal precedente disco e ben quattro singoli di presentazione (“Nasty“, “Wild Frontier“, “Wall Of Death” e “Ibiza“) in molti aspettavano di avere per le mani il disco intero per poter esprimere un giudizio completo sulla nuova fatica discografica di Howlett e soci, viste anche le dichiarazioni al vetriolo della band nella presentazione del disco: “Suonerà più aggressivo degli album pubblicati finora, sarà una risposta a tutti quei dj coglioni e ai tutorial di merda su YouTube. L’album è totalmente organico. Pura energia violenta”.

Il disco, pubblicato dalla Take me to the Hospital e prodotto da Liam Howlett e Neil McLellan, vede Howlett, Keith Flint e Maxim Reality cimentarsi con il tempo che passa e chiamare a raccolta ed aiuto due fenomeni del momento come gli Sleaford Mods nel brano “Ibiza” e i Flux Pavilion in “Rhythm Bomb” per questo nuovo progetto da 14 canzoni (nella versione iTunes c’è l’extra “Rise of the eagles” mentre nella versione giapponese troviamo i remix di “Rebel Radio” e “Wild frontier“).

Prodigy - "The day is my enemy" - Artwork

The day is my enemy” si apre con la title track, singolo di lancio che richiama le atmosfere di altri brani dei Prodigy di tempi più lontani. Attenzione a questo passaggio, perché sarà una sensazione ricorrente che gli amanti o i semplici conoscitori dei Prodigy sentiranno spesso lungo tutto il disco. Ascoltare “Nasty” per credere (alzi la mano chi non ha pensato a “Omen”).

Rebel Radio” richiama parzialmente alla mente “Firestarter” e le atmosfere di “Music for jilted generation” mentre in “Ibiza” la presenza dei cattivi di turno, ovvero i Sleaford Mods, probabilmente punta a sdoganare l’immagine ormai ventennale della band lanciandosi tout court contro la scena mainstream dei club EDM di Ibiza, fatta di dj superstar e musica preconfezionata.

Carina l’introduzione molto videogioco anni ‘80 di “Destroy“, introduzione che ritroviamo anche nella seguente “Wild Frontier” ed in parte anche nella seguente “Rok-Weiler“: la prima e la terza di queste canzoni sono state già presentate in varie situazioni live e quindi sono ormai ben rodate, anche se non godono di quella spinta verso il nuovo.

Con “Beyond the Deathray” si comincia a navigare verso acque migliori e che richiamano ai fasti passati di “Experience” e della “Narcotic Suite” mentre con la caciarona “Rhythm Bomb” (che vede la partecipazione dei Flux Pavilion) è davvero difficile rimanere immobili e non cominciare a ballare. Purtroppo con “Roadblox” torniamo a sentire qualcosa di già ascoltato e la situazione non migliora con “Get Your Fight On“, una vera e propria cover di “Take me the to hospital”.

Proprio quando il disco si comincia ad avviare verso la fine, ovvero con “Medicine“, si cominciano a sentire germi di qualcosa di nuovo e diverso, piccoli semi che si sviluppano nelle atmosfere rarefatte e quasi venate di brit-pop di “Invisible Sun” e nel massiccio muro sonoro di “Wall of Death“, che chiude il disco in maniera abbastanza degna.

Che dire di “The day is my enemy“? Chi si aspettava un lavoro rivoluzionario dai Prodigy rimarrà deluso. In un momento in cui tutti puntano sulla musica EDM Howlett e soci hanno deciso di tornare indietro e tentare di rinverdire il proprio passato, richiamandolo in maniera massiccia in una sorta di operazione-nostalgia musicale che mostra ahimè tanti limiti. La band inglese sembra avere qualche problema di troppo con i campionamenti, suo punto di forza da sempre, ed alla fine ne viene fuori un disco dal suono ripetitivo, svogliato e monotono. Dovrebbe far riflettere che gli episodi migliori del disco sono quelli in cui Howlett non si è avvalso di nessuna collaborazione: forse la reunion con i compagni Maxim e Keith Flint non ha giovato del tutto, ingabbiandolo in un suono ormai marchio di fabbrica ma fine a se stesso e senza ricerca artistica. Ma forse dopo 25 anni di genio e rabbia non ci si poteva aspettare il capolavoro: l’energia c’è, l’estro meno.

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