Povia: “A “I migliori anni” per rilanciare il cantautorato italiano”

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Giuseppe Povia | © Elisabetta Villa/Getty Images

E’ uno degli artisti più controversi degli ultimi anni: se la critica da un lato tende a non fargliene passare una, dall’altro il pubblico lo appoggia e lo incoraggia. Giuseppe Povia è attualmente impegnato nella trasmissione di Rai 1, condotta da Carlo Conti, “I migliori anni”, in cui dallo scorso 19 Gennaio si cimenta nel rifacimento del “Canzonissima” di una volta.

Una gara con altri 7 artisti (Alexia, Enrico Ruggeri, Paola e Chiara, Marco Masini, Karima, Luca Barbarossa), ogni puntata una canzone che ha segnato la storia della musica italiana. Da quando lo abbiamo visto per la prima volta sul palco del Festival di Sanremo 2006, conquistando tutti con “I bambini fanno ooh…”, Povia non ha fatto che sorprendere il pubblico, affrontando tematiche forti ed attuali. Lo abbiamo raggiunto un paio di giorni fa, mentre si trovava in autostrada, sotto un’acquazzone tremendo all’altezza di Arezzo. Una chiacchierata lunga, bella, piena di spunti interessanti. Eccola.

Da quasi due mesi è iniziata la tua esperienza a “I migliori anni”. In ogni puntata ti cimenti in una canzone che ha segnato la storia della musica italiana e ti confronti nella gara con i tuoi colleghi. Cosa ti ha spinto a metterti in gioco in questo contesto?

La gara, in realtà, è una cosa da ridere, l’abbiamo presa alla leggera, perché cantiamo canzoni già famose, a vincere sono proprio le canzoni, non noi. La cosa più importante è che si tratta di una delle poche trasmissioni in cui si parla di musica. Quando Carlo Conti mi ha chiesto di partecipare, ho accettato subito, ma con il compromesso di poter cantare solo canzoni cantautorali e infatti ho cantato “La cura” di Battiato, “La donna cannone” di De Gregori, per citarne alcune. Mi piace, perché in questo momento sto seguendo un percorso cantautorale che partirà il prossimo Novembre, si chiamerà “Povia Cantautore”: porterò uno spettacolo solo chitarra e voce di 90 minuti nei teatri, in cui spiegherò soprattutto ai più giovani la storia dei cantautori, che con le loro canzoni hanno contribuito dal dopo guerra in poi a ricostruire culturalmente il nostro Paese, affrontando temi politici, sociali ed anche l’amore.Da qui verrà anche registrato un disco live, che conterrà due inediti e le altre canzoni dello spettacolo.Il motivo per cui ho deciso di partecipare a “I migliori anni” è proprio questo, rilanciare il cantautorato italiano, cantando le sue canzoni durante la trasmissione. Questa è la strada che voglio seguire.

Giuseppe Povia | © Elisabetta Villa/Getty Images
Giuseppe Povia | © Elisabetta Villa/Getty Images

Vorrei approfondire la questione della competizione con gli altri artisti, come la stai affrontando? Qual è l’atmosfera che si respira tra voi dietro le quinte?

Competizione è una parola grossa… Io ho vinto due volte, con “Amico” di Renato Zero” e con “Mille giorni di te e di me” di Claudio Baglioni, per il resto ha vinto sempre Marco Masini, che ha un bel consenso da parte dei fan. Qui non è come a Sanremo, dove sei in gara con canzoni tue e allora diventi competitivo, guardi al particolare, alla promozione non della singola canzone, ma di un progetto. Qua è diverso. Dietro le quinte ci guardiamo tra noi, non vediamo l’ora che ognuno di noi canti, scherziamo e ci prendiamo in giro tra noi, è sempre una grande festa. Io credo che anche il pubblico non guardi alla classifica, a chi è primo e chi ultimo.

Non solo canzoni altrui, nel corso del programma hai avuto modo anche di presentare il tuo nuovo inedito “Siamo italiani”. Come è nato questo brano e perché hai scelto di presentarlo proprio a “I migliori anni”?

Carlo Conti ha dato la possibilità ad ognuno di presentare al termine della puntata un proprio inedito, io l’ho fatto alla prima puntata, fu una mia richiesta precisa, perché solitamente è la puntata che fa gli ascolti maggiori. Io sono una persona allegramente depressa, vedo ciò che non sta andando in Italia, mi piace però portare un messaggio di speranza anche mentre racconto delle tragedie. “Siamo italiani” racconta ciò che è accaduto nell’ultimo anno, da quanto si è insediato il Governo tecnico, che ha cominciato a salassarci con le tasse. Nella canzone dico che noi Italiani siamo un popolo che nonostante prenda tanti cazzotti, non va mai completamente al tappeto. Non dobbiamo mai dimenticarci che noi abbiamo inventato tutto: in Italia c’è stato il Rinascimento, dove sono sorte le prime banche, gli orafi, abbiamo inventato la letteratura da Dante fino ad Alda Merini, ma anche il violino ed il pianoforte, l’arco per lanciare le frecce. Da tutto il mondo vengono in Italia per vedere i nostri monumenti. Siamo un popolo altamente culturale, ma abbiamo il difetto di vedere solo ciò che va male e criticare. Dobbiamo riprenderci ciò che è nostro ed abbiamo bisogno di amministratori che lo capiscano, poi noi Italiani ci accontentiamo di poco. L’Italia è un piccolo stivale al centro del mondo: tutti ne parlano male, ma tutti ci vogliono mettere dentro i piedi.

Sei solito affrontare temi importanti e controversi nei brani che scrivi, in passato ti hanno accusato di aver strumentalizzato episodi sociali di rilievo per far parlare di te. A distanza di tempo, come ti senti di rispondere a tali accuse?

Rispondo come ho sempre fatto. Se fossi stato furbo, non avrei toccato certe tematiche, avrei cercato applausi facili. Invece sono papà di due bambine, ho seguito da vicino la vicenda di Eluana Englaro, la lotta del padre per 17 anni vinta poi legalmente. Ho pensato: “Ma se succedesse alle mie figlie?”. Così ho scritto “La verità”, che è una canzone bellissima, che si è classificata quarta a Sanremo. Mi è stata raccontata la storia di un ragazzo che è stato per più di 20 anni omosessuale, mi ha incuriosito, perché poi aveva deciso di trovare una strada che lo facesse stare meno male, ognuno ha l’obbligo di cambiare una situazione che lo fa stare male.Avrei potuto cantare che Luca non sta più con lei, ma adesso è gay ed avrei preso dei consensi facili. Ho scritto “Vorrei avere il becco”, perché la tendenza di oggi è scrivere canzoni sull’amore straziante, invece questa è sulle persone che stanno bene insieme, è una canzone molto profonda. Ho scritto anche brani che non sono diventati famosi, ma che avrebbero diviso, come “E’ meglio vivere una spiritualità” in cui dico che la religione divide i popoli e la spiritualità li unisce. Ma ho scritto anche “Maledetto sabato”, che racconta di quando ho perso il mio migliore amico in un incidente nel ’92 ed anche “Povia non ce la fa”, in cui affronto quei rapper – non tutti, ma la maggior parte – che attraverso il rap istigano alla violenza, insultano amici e colleghi, mentre il rap ha tutt’altra origine dall’Africa per dare messaggi di pace. Io scrivo canzoni su tematiche come queste perché magari fino ad adesso sono state trattate male. Ho due figlie, non voglio che crescano in una società avariata e voglio lasciare a loro questo patrimonio.

Giuseppe Povia | © Elisabetta Villa/Getty Images
Giuseppe Povia | © Elisabetta Villa/Getty Images

Oltre ad essere autore ed interprete, sei anche Direttore Artistico della Scuola per Cantautori di Grosseto, la prima in Italia. Qual è il contributo o il consiglio che senti di poter dare ai giovani che si approcciano a questo mondo?

Il cantautore è una figura che è stata svalutata negli ultimi dieci anni: un artista come De André o Giorgio Gaber oggi non avrebbe spazio. Tutta la musica si è omologata allo stesso suono. Abbiamo attualmente una decina di allievi, che portano le loro canzoni. Non ho la presunzione di insegnare loro l’emozione, non è possibile, ma posso dare dei consigli tecnici, su come ridurre la durata delle canzoni o il numero di versi. Insegno loro queste geometrie strutturali che mi furono insegnate da Giancarlo Bigazzi. La prima lezione è gratis, è un incontro-confronto per far sì che i ragazzi si fidino, poi il resto del corso costa quanto un corso di chitarra o di basso. Io non ci guadagno niente, lo faccio per passione.

La tua carriera è costellata di riconoscimenti importanti, dal Premio Città di Recanati al Premio Mogol, fino alla vittoria del Festival di Sanremo nel 2006 e al Leone d’Argento alla carriera musicale. A quale di questi ti senti più legato emotivamente?

Sicuramente il Premio Recanati, che oggi si chiama Premio Musicultura. Me lo ricordo innanzitutto perché ho vinto 20 mila Euro: in quel periodo faceva freddo in casa mia, avevo gli infissi da ristruttare e con quella cifra sono riuscito a sistemarli ed anche a comprarmi una chitarra. Poi lì c’è stata la svolta artista, per i consensi ricevuti da personaggi come Alda Merini e Vasco Rossi. La canzone con cui vinse è “Mia sorella”, parla dell’amore di un fratello per la sorella che affronta il problema dei disturbi alimentari della bulimia e dell’anoressia. Anche questo brano fu molto criticato, mi accusarono di affrontare un argomento che secondo loro non conoscevo, in realtà mia sorella ha sofferto di questi disturbi ed io ho visto tutto. Da questo premio è partito tutto, la forza di fare musica. Fin da lì ho pensato di dividere la critica, ma di convincere l’opinione pubblica.

“I migliori anni” chiuderà il prossimo 23 Marzo, ci avviciniamo alle battute finali della trasmissione. Qual è il tuo bilancio di questa esperienza? Saresti pronto per una nuova edizione?

Il bilancio è assolutamente positivo, ho ottenuto un grande consenso. Le persone mi riconosco ancora di più per strada, ho fatto un sacco di interviste sui giornali e le continuerò a fare, ho fatto tanta televisione e promozione di “Siamo italiani”. E’ un’esperienza che rifarei perché mi sono divertito e spero nel prossimo anno. Dal 6 Aprile parte la tournée estiva, a Novembre voglio dedicarmi solo allo spettacolo teatrale, poi, chissà, a Gennaio o Febbraio del prossimo anno, se ripartisse, lo rifarei.

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