Ho sempre pensato che un mondo senza i Led Zeppelin sarebbe stato sicuramente diverso e, di certo, molto più brutto. Ieri non vedevo l’ora di poter ascoltare Robert Plant, pur sapendo che non avrebbe regalato molto dei suoi antichi fasti, concentrandosi invece sul suo lavoro con The Sensational Space Shifters.
Seconda giornata del Pistoia Blues Festival, a precedere Plant ci sono stati i North Mississipi Allstars: performance piacevole almeno all’inizio, sembra che il gruppo non abbia ancora trovato una vera e propria identità. Spazia per vari generi, dal blues al country, dove più che contaminazione sembra avvertire confusione, uno stile non ancora determinato, forse influenzato dalla voglia di strafare. Un gruppo valido, ma sicuramente non all’altezza della grande star attesa in giornata.
Seguo il Pistoia Blues Festival da tre anni ormai e non avevo mai visto piazza Duomo così gremita come ieri sera, tutti stavano aspettando il ritorno di Robert Plant. E lui si è palesato in grande stile, aprendo il concerto con “Babe, I’m gonna leave you“. Uno dei più grandi classici dei Led Zeppelin, per un concerto suonato con i bravissimi Space Shifters, in cui si nota non poco l’influenza musicale dei membri della band; c’è chi arriva da Liverpool e chi arriva dal Gambia, ma gli elementi mescolati tutti insieme danno un risultato gradevolissimo.
Devo ammettere, inizialmente avevo pensato che Robert Plant non avrebbe avuto abbastanza voce da reggere un concerto intero. Gli anni passano anche per le grandi star della musica, oggi non sfoggia più abiti stravaganti, è appesantito dagli anni, non rinuncia al suo tamburello e la voce non è quella di una volta. Però regge. La mia preoccupazione più grande, ogni volta e in questi casi, è quella che gli artisti che ho amato di più nel corso della mia vita, perdano tutta la loro dignità sul palco.
Robert Plant è stato una grande sorpresa e sono più che felice di aver avuto la possibilità di ascoltare anche alcune delle sue vecchie glorie. Con gli Space Shifters ha presentato molti dei loro brani, tra cui l’ultima uscita, “Rainbow“. Li avevo ascoltati prima di cimentarmi in un nuovo concerto e, a posteriori, il mio pensiero è che dal vivo siano molto più gradevoli e coinvolgenti.
Siamo lontani anni luce dagli antichi fasti, la fine dei Led Zeppelin è stata un po’ come la fine di un grande amore: ci sono accordi più o meno taciti che ti pongono dei limiti e quando incontri qualcun altro, non hai voglia di ripetere tutto quello che avevi già fatto. Ma in questo caso c’è anche un altro obbligo, quello nei confronti di chi ti segue. Scordatevi “Stairway to heaven”, ma buttateci dentro una versione praticamente irriconoscibile quanto intrigante di “Black Dog“, un’emozionante “Going to California” e “Whole lotta love“, col pubblico in visibilio.
Scordatevi la chitarra di Jimmy Page, ma metteteci dentro un gruppo di musicisti validissimi e la voglia di Robert Plant di non abbandonare la musica, di esportare il blues ma senza mai dimenticare la qualità, senza condannarla sopravvivendo grazie al nome che ha avuto in passato. Metteteci la sua chioma fluente, non più bionda come un tempo e dei reggiseni che arrivano sul palco. E poi salutate Mr. Percy, sulle notte di un’intramontabile “Rock and roll“.