Francia terra di cultura e arte, terra invidiata e tanto anche odiata, terra di nascita di grandi musicisti e incantevole terra d’ispirazione. Dal naturalismo all’impressionismo, dalla chanson all’opera, ma l’identità francese in quale di queste correnti filosofiche e artistiche si identifica oggi? Forse in nessuna di quelle citate, la Francia attualmente viene abbinata al fenomeno della musica elettronica da club, dai Daft Punk ai Justice, ma è anche la terra di nascita degli AIR e dei Phoenix. Il 2013 è stato un anno ricco di ritorni discografici e di rivelazioni strabilianti, ma quale protagonista transalpino avrà saputo sbalordire di più il popolo musicale seguace? Siccome non ci troviamo assolutamente in un concorso a punti forse la risposta non potrà essere data, ma in tempi di crisi economica il titolo “Bankrupt!” è destinato ad avere la meglio. In tredici anni di attività la band di Thomas Mars è riuscita a sfornare cinque album quasi completamente diversi, ma legati da un’anima musicale leggera colorata e giovane, diventata il marchio di fabbrica dei Phoenix. A metà strada tra pop e rock, i Phoenix si trovano in un incrocio musicale tutt’altro che banale, si trovano a metà tra la musica complessa e la musica inesorabilmente immediata. Come sono riusciti a fare tutto questo? Con gusto e sapienza.
La fine del 2009 ha segnato un traguardo importante per la band di Versailles, che con l’uscita dell’album “Wolfgang Amadeus Phoenix” è riuscita a stravolgere qualsiasi classifica e qualsiasi posto nelle hit di gradimento, arrivando così all’apice di una carriera quasi appena iniziata. Sì, nove anni nel panorama discografico internazionale non sono assolutamente tanti, ma i Phoenix, nonostante questo, sono riusciti a consolidare in pochissimo tempo la loro reputazione, rientrando addirittura tra le band più “attese” sempre e comunque. Il 2013 è un anno nel quale gli ascoltatori dei Phoenix hanno riposto grande fiducia e grande speranza, e con l’inverno finalmente viene rivelata la sorpresa di un nuovo album e di un nuovo progetto discografico previsto per la primavera, stagione felice, colorata e delicata per antonomasia.
Phoenix, cosa avete fatto ordunque? L’indie rock transalpino si veste di colori primaverili e di motivetti orientali, come del resto i Phoenix hanno sempre fatto, ma quale novità si cela dietro “Bankrupt!” successore onoratissimo di Wolfgang Amadeus Phoenix? Un disco nuovo, un disco meno pulito dei precedenti, ma comunque degno di nota e a tratti parecchio interessante, ma questo è tutto da vedere. Non sono più i tempi di “If I Ever Feel Better“, perché gli scenari da club cambiano totalmente vestendosi di sfondi malinconicamente urbani, ma così affascinanti e ricchi di ispirazione. Il quartetto francese non ha nulla a che vedere con i conterranei Debussy, Ravel, Bizet e Saint Saens, eppure quella nota romantica e sentimentalmente francese sembra influenzare anche la loro musica, così attuale e così giovane.
“Entertainment” è stato il primo estratto, il primo contatto con questa realtà nuova, meno pulita rispetto alle hit precedenti ma sempre così elegantemente marcata dal punto di vista musicale, ricca di momenti importanti e synthetizzata al punto giusto. “The Real Thing” parte con un piccolo organetto moderno per poi presentarci il fermo immagine metropolitano in una sceneggiatura abbastanza fitta di elementi elettronici.
“SOS in Bel Air” è fuori dal french touch tipico di Thom Mars e compagni, ma risulta comunque una bella uscita dallo standard che ci aspettavamo, è un attimo di freschezza e ci immerge tra i cieli azzurri sfumati d’arancio al tramonto. Preoccupano un po’ gli insignificanti incisi, ma sono degli elementi piuttosto trascurabili. “Tryin To Be Cool” ricorda il clubbing raffinato arricchito di sincopi ritmiche, anche queste marchio di fabbrica di tutta la produzione musicale dei Phoenix. La pausa strumentale da metà disco arriva con “Bankrupt!“, come quasi da copione nasce sul filone di Love Like Sunset, che in effetti non ha nulla a che vedere, anzi sembra tentativo delicato di inserire delle canne da organo in un disco indierock. Il crescendo nervoso che si crea non esplode come succedeva con la hit strumentale del precedente album, ma un brano così è una bella strategia riposante sia per l’ascoltatore che per il musicista. La seconda parte del brano ricorda l’intro utilizzata per l’entrata in scena al Coachella, che sembra quasi in stile Radiohead, ma con tutt’altra filosofia alle spalle. La fine del pezzo si ispira chiaramente alla tranquillità musicale dei colleghi matematici AIR, che ci lancia in un’ambientazione da giardino cinematografico molto familiare alla moglie di Mars. “Dakkar Noir” è familiarmente phoenixiano, un giusto equilibrio tra cineserie, rock e pop, arricchito come il resto dell’album da momenti synthetici, adatti all’ambientazione da gita fuoriporta.
“Chloroform” sembra il momento più solito dell’album e ci riporta a quella fotografia di Lost in Translation così metropolitana e malinconica ma così meravigliosamente bella, complice la tendenza orientale del tappeto tonale del brano. Insistenza synthetica e drummatica in “Don’t“, momento 80’s dell’album. Un sopravvento elettronico su quello che poteva essere una svolta quasi pop a tratti e tranquillamente melodica per altri è “Bourgeois“, penultima possibilità dell’album di farci una buona impressione. “Oblique City” gode di tutte le contaminazioni dell’intera produzione musicale dei Phoenix, partendo da United del 2000 fino ad arrivare a Bankrupt! del 2013.
Un album registrato tra Parigi e New York e che si proponeva come un lavoro totalmente sperimentale a noi arriva come un suggerimento di cambio di rotta al quale probabilmente pensano i Phoenix. Tutto sommato, nonostante manchi la pulizia tipica della band, “Bankrupt!” è un interessante lavoro minuzioso di cura dei particolari dalla voce al fitto tappeto di tastiere che copre l’intero disco. Un disco che si presenta compatto sin dal primo ascolto e ricco dei catchy che tanto piacciono ai fan dei francesi. Ormai si osserva l’invasione di tendenza da Ancien Régime, ma tuttavia l’eclettismo tipico dei Phoenix rimane ancora intatto e vivido come del resto ci lasciavano sperare sin dai primi anni di attività.