Peppe Columbro, musicista e cantautore calabrese, ha da poco pubblicato il suo primo “Lo chiamavano Peter Pan“, pubblicato dalla Smilax Publishing.
Il disco, presentato quest’anno a Ferrara, è solo il coronamento di una lunga carriera che ha visto Columbro dividersi tra la musica e la carriera di ricercatore presso la Facoltà di Biologia di Messina fino a scegliere la prima e a presentarsi al pubblico nel 2006 con il singolo “Faber” grazie alla collaborazione con Gianluca Rando. Nel 2007 incide una demo di 10 brani dove affronta diverse tematiche come la guerra in Medio-Oriente e la politica italiana ma soprattutto la vita comune, cercando di sensibilizzare il mondo verso quello che c’è, ma non si vede.
Nel 2009 Columbro incide un EP acustico dal titolo “Sotto lo stesso cielo” e partecipa a vari concorsi con il brano “Portami via“, apprezzato da addetti ai lavori come Vince Tempra, Enzo Miceli e Marco Rinalduzzi, e nel 2012 si presenta al Festival di Sanremo nella categoria giovani col brano “Lo chiamavano Peter Pan“: non riesce ad arrivare sul palco dell’Ariston ma continua la produzione del suo album aiutato da Gilberto Di Gioia alle percussioni, Pippo Mafali al basso, Peppe Russo alla fisarmonica, Gianluca Rando alle chitarre, Marco Modica al violino, Margherita Bertuccelli cantante e corista, Francesco Lo Nobile al sax, il tutto prodotto ed arrangiato da Riccardo Wanderlingh.
“Lo chiamavano Peter Pan“, come detto prima, è composto da nove canzoni per un totale di 33 minuti circa e ci presenta con “Il fiore più bello del re“, brano acustico che mostra quali siano le qualità di Columbro sia a livello vocale che a livello strumentale mostrando un pezzo affascinante e coinvolgente che coglie nel segno. La chitarra è la fida compagna di Columbro e si mostra senza vergogna anche nei brani successivi come “Ora non lo so più” e “La canzone dello Stretto”, brano dove viene fuori tutto l’amore per una terra e per un posto del mondo che troppo spesso viene chiamato Sud in segno dispregiativo.
“Portami via” e “La danza del mare” ci portano su un terreno più introspettivo e personale: non sviino le musiche, le liriche di queste due canzoni sono molto introspettive, soprattutto la seconda, canzone che suona le corde dell’anima grazie anche alla voce di Margherita Bertuccelli.
La title-track, che capita a metà disco, è una musica dolce e affascinante anche grazie alla fisarmonica che avvolge e fa entrare in una dimensione musicale molto particolare, che richiama ad una musica d’autore che oggi poco si sente in giro. Ma tutto il lavoro di Columbro ha questa impronta, un richiamo alla musica d’autore e alla radice strumentistica italiana, come dimostrano anche “La guerra dei sei giorni“, la bellissima canzone d’amore “Ragazza libertà” e la conclusiva “Tutto nero“, pimpante e frizzante con il suo gioco con i cori e con la sua energia.
Il nuovo lavoro di Columbro ci fa intravedere un cantautore all’esordio ma già esperto, che affonda appieno nelle radici della musica cantautorale italiana e nella tradizione ma senza risultare pesante o ripetitivo, ma anzi con un paio di spunti davvero interessanti (“Ragazza libertà” e “Il fiore più bello del re”) che colpiscono al primo ascolto e che ricordano da vicino alcuni mostri sacri come De Gregori. L’unico peccato alla fine è la durata del disco. Ma l’album è davvero ben fatto e mi toccherà farmene una ragione.