Pearl Jam: la recensione di “Backspacer” Track by Track

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Pearl Jam - Artwork di BackspacerA 18 anni dal loro album capolavoro, “Ten“, non è facile tornare e avere il consenso di pubblico e critica, specie dopo otto album in studio contenenti veri e propri capolavori della storia del grunge e dell’hard rock. Eppure i Pearl Jam ci provano ancora una volta con “Backspacer“, normale e forse scontato il confronto diretto appunto con “Ten”, loro più grande successo,ma dato che i restanti “Vs.”, “Vitalogy”, “No Code”,”Yeld”, “Binaural”, “Riot Act” e “Pearl Jam” non sono da buttare, per la band di Seattle l’impegno è comunque ai massimi livelli.

Dopo un mese di attento ascolto siamo qui a darvi il nostro parere e presentandovi la nostra recensione su questo album che sicuramente risente dell’aura di”Into The Wild”, album da solista di Eddie Vedder, ma che comunque riesce poi a tirare fuori molte cose dei vecchi Pearl Jam anche grazie al ritorno come produttore di Brendan O’Brien.

Track By Track

  1. Gonna See My Friends: L’album apre con un riconoscibile riff di “Gonna See My Friends” dove Stone Gossard e Mike McCready fanno ricordare a tratti i Sex Pistols, a tratti Chuck Berrysenza però dimenticare la giusta congiunzione con i WHO. Non si può non dire che l’apertura è ottima, carica, adrenalica e trascinante, dimostra ancora una gran voglia di fare da parte della band di Seattle nonostante sembri mancare di quel passo in più che avevano una volta e la voce di Eddie Vedder che a volte sembra non voler spingere troppo, quasi a dire “siamo hard rock ma non troppo“.
  2. Got some: è stata ascoltata e riascoltata in diverse sfaccettature, live in TV (Tonight Show di Conan O’Brien), nella versione in studio, e live in diversi concerti. Più leggera strumentalmente della precedente non è sicuramente molto da meno. Si nota la mano di Jeff Ament nella scrittura della musica in questo pezzo che sembra provocare una tensione che cresce con l’aggressività del brano e sfoga in un quasi nevrotico canto di Eddie Vedder. Anche di “Got Some” non si può che parlare bene, non sarà agli apici delle canzoni dei Pearl Jam, ma sicuramente è un brano ben realizzato ed arrangiato.
  3. The Fixer: Scelto come singolo di lancio e video promozionale, “The Fixer” è forse la canzone più commerciale di tutto l’album. Un brano immediato ma alla lunga ripetitivo anche se la sua natura ripetitiva lo rende appunto il candidato ideale in qualità di brano trascinante dell’intero album. Non da buttare, ma in alcuni passi sembrano i Pearl Jam che copiano e citano se stessi.
  4. Johnny Guitar: Forse il capolavoro presente in questo album è “Johnny Guitar”, brano che sembra mischiare il classico rock a delle sonorità new wave portando il rock anni 70 direttamente in questo secolo. Stone Gossard e Matt Cameron dicono la loro in questo brano che grazie al suo “pressare la musica”, ai cambi di tempo, alle deviazioni improvvise e al finale sfumato, si apre una strada verso il pubblico.
  5. Just Breathe: Chi ha ascoltato “Into The Wild” riconoscere “Just Breathe” come suo proseguio, anche come da dichiarazione ufficiale di Eddie Vedder, sarebbe potuta essere la più bella canzone di quella colonna sonora. Quasi un country che sa di relax portando alla mente ambientazioni bucoliche, il brano è arrangiato benissimo e si vede la mano di Brendan O’Brien che ha sapientamente saputo aggiungere nella fase produttiva dell’album gli accompagnamenti orchestrali, con sapienza la voce viene accompagnata da una leggera chitarra e gli archi di sottofondo si sentono a malapena ma nella giusta quantità. “Just Breathe” è insieme a “Johnny Guitar” il miglior brano dell’album
  6. Amongst The Waves: La mano di Stone Gossard si sente anche in “Amongst The Waves”, brano in cui nuovamente tornano alla mente i WHO e fanno sentire le influezne di “Into The Wild”, il tutto condito da ciò che solo i Pearl Jam sanno fare: potenza, passo certo e profondità.
  7. Unthought Known: Giusto un pelo dietro le nostre due preferite si pone “Unthought Known”, semplice risposta chitarra e voce di Eddie Vedder, semplice per lui naturalmente. All’ingresso degli altri strumenti si riconosco i Pearl Jam di vecchia data che danno ai propri ascoltatori tutto ciò che possono desiderare.
  8. Supersonic: Nel brano si trova quel misto di Hard Rock, Rock and Roll Classico e Punk che fanno il Grunge dei Pearl Jam ancora vivo e vegeto. Ritmo e riff nella chitarra di Stone Gossard regna suprema e dimostra che i Pearl Jam non sono Eddie Vedder e ciò che si trascina da “into The Wild”.
  9. Speed Of Sound: In questo pezzo troviamo mid-tempo che inserisce piano e organo in primo piano, facendo passare un attimo in secondo piano le chitarre, ma dando a Eddie Vedder la possibilità di confrontarsi con sonorità quasi blues e di esprimere con la sua voce quasi dolore ed accarezzando leggermente gli ascoltatori.
  10. Force Of Nature: Mike McCready fa sentire notevolmente la sua presenza in “Force Of Nature” e nel suo soft rock che la pone sicuramente tra le canzoni in stile classico Pear Jam. Un buon brano che lascia ben intendere e sicuramente in un arrangiamento live un pò più pesante e movimentato potrà far entusiasmare i fan, ma che manca di quel carisma in più capace di farla diventare un capolavoro.
  11. The End: Molto sofferta l’acustica “The End”, ballata tipica che permette ad Eddie Vedder di esprimersi al meglio, gli arrangiamenti orchiestrali con gli archi in sottofondo non fanno altro che renderla completa e ineccepibile.

In conclusione 11 canzoni in circa 37 minuti di musica che ci sono veramente piaciuti, da ascoltare attentamente e da gustare.

E voi cosa ne pensate?

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