La band capitanata dalla rossa Hayley Williams è tornata con il quarto disco in studio dal titolo omonimo a quello della formazione stessa ossia “Paramore“.
Prima di passare al succo del discorso ossia l’album pubblicato all’inizio di aprile, per la precisione il 9 aprile 2013, data italiana, tiriamo brevemente le somme dello stato attuale della formazione. I Paramore si formano nel 2004 a Franklin, Tennessee e il grande successo di pubblico giunge con “Riot!”. A fine 2010, la band ha subito una scossa poderosa in quanto i due membri fondatori dei Paramore, Josh e Zac Farro hanno deciso di lasciare la formazione. A tenere alto l’onore della band rimane Hayley Williams, cantante e pianista, supportata da Jeremy Davis al basso e Taylor York alla chitarra.
Le discussioni attorno all’abbandono dei fratelli Farro sono state moltissime ma “divergenze d’opinioni e aspettative diverse” sembra racchiudere bene il motivo della separazione. Come dice il famoso detto, chiusa una porta si apre un portone e questo sembra essere stato il pensiero di Hayley che non si è persa d’animo ma anzi ha occupato il proprio tempo grazie a “Paramore”, album omonimo che sottolinea la ripartenza. Un punto e a capo. Prodotto da Justin Meldal-Johnsen il disco è stato pubblicato agli inizi d’aprile dalla Fueled by Ramen ed ha visto diversi musicisti che hanno partecipato alle registrazioni. La parte di batteria del lavoro è a cura di Illan Rubin, conosciuto per la sua militanza nei Nine Inch Nails, il mixaggio a cura di Ken Andrews, fondatore dei Failure, e ha preso parte anche l’ingegnere del suono Carlos de la Garza. Composto da ben diciassette tracce nella versione standard, i primi due singoli estratti sono stati “Now” e “Still into You“.
Paramore – “Paramore”: track by track
La critica internazionale così come il pubblico sta premiando molto la scelta dei Paramore di rivoluzionarsi. Una ripartenza che coincide con una sperimentazione vistosa. L’album si apre con “Fast in My Car”, un brano di pura ribellione dove la voce di Hayley è supportata da un ritmo schiacciante e perfetto per il testo del brano. La chitarra e la batteria sostengono la voce sinuosa di Hayley. Il ritmo non si spegne di certo con la seconda traccia “Now“, brano scelto anche come singolo; rock leggero con un ritornello martellante e una frase che mette subito in chiaro gli intenti della band: “If there’s a future, we want it now”. “Grow Up” cambia registro e i Paramore propongono inserti elettronici, sintetizzatori e un brano che alla fine risulta essere dance. Come dice lo stesso titolo, esso si focalizza su un tema esistenziale ossia quello della crescita e la band americana sceglie di affrontare la questione con un sound molto rilassato e divertente. In “Daydreaming” i Paramore si spogliano di sintetizzatori e rabbia repressa e si mostrano grazie ad una ballata molto dolce che sfocia nel dream-pop. “Interlude: Moving On” è un intermezzo acustico dove i protagonisti sono Hayley Williams e l’ukulele; spiazzante. “Ain’t It Fun” si muove su tonalità delicate pur avendo un ritmo accattivante con tocchi di xilofono qua e là. Un brano che si potrebbe definire funk, con ancora una volta un testo ironico e un coro gospel che di certo non ti aspetti in una canzone simile; “Ain’t It Fun” è un contenitore d’influenze così diverse fra loro ma che in qualche modo riescono a coesistere piuttosto bene. Un tentativo di sperimentazione che si deve premiare.
“Part II” è la canzone che maggiormente rispecchia i Paramore dei precedenti dischi. Con qualche inserto elettronico, la voce di Hayley si modula in un canto sinuoso che poi esplode durante il ritornello: “Dancing all alone / To the sound of an enemy’s song”. “Last Hope” è una ballata infinitamente dolce dove Hayley mostra il lato più fragile e vulnerabile di sé. Siamo oltre la metà del disco e troviamo il secondo singolo scelto ossia “Still Into You”, un brano dance-pop-rock dalle tonalità immediate e leggere. Un brano dove il protagonista è l’amore. “Anklebiters” prosegue sulla scia ritmata della precedente canzone ma il tutto si tinge di un vivace punk (seppur comunque molto leggero). Un brano che potrebbe diventare un tormentone, con un testo, ancora una volta, di ribellione che inizia con “Why do you care what people think?”. Davvero una bella domanda.
Undicesima traccia “Interlude: Holiday”. Ci troviamo davanti al secondo intermezzo acustico. Nuovamente l’ukulele a supportare la voce di Hayley che permette all’ascoltatore di prendere una piccola pausa per poi proseguire con la parte finale del disco. “Proof” riprende i temi e le melodie classiche dei Paramore con quel piglio punk-rock che tanto piace ai fan. Un brano piacevole, che scorre veloce. “Hate to See Your Heart Break” è una ballata a tutti gli effetti, una delle poche del disco e probabilmente la più incisiva. La voce di Hayley perde quella sfumatura aggressiva per divenire delicata e soffusa. Le corde della chitarra quasi non si sentono talmente risultano morbide. “(One of Those) Crazy Girls” ci butta in un clima pop-vintage vero e proprio.
Un brano retrò, un brano che ci si immagina cantato in qualche locale raffinato degli anni ’50. Una canzone con molto gusto, soprattutto per il cambiamento repentino fra strofa e ritornello che però non stride ma anzi, dona una connotazione ancora migliore al brano. Interessante. Nuovo interludio “Interlude: I’m Not Angry Any More”, dove la voce di Hayley si muove su un motivetto non certo originale; diversamente degli altri due intramezzi molto piacevoli questo risulta quasi superfluo. Si conclude con “Be Alone” altro pezzo potente ma nello stesso tempo armonioso. In questo caso è il testo a farla da padrona: “You should be alone / Yeah, you should be alone / You should be alone with me / We could be alone / Yeah, we could be alone / But never get too low on me”. Un puro scioglilingua.
“Paramore” si conclude con “Future“, traccia che lascia intravedere la voglia della band di andare avanti, sin dal titolo. Brano ambient fine, impalpabile e ancora una volta acustico. I Paramore, dopo ben 16 tracce concludono con l’ultima di 7.51 minuti. “Future” infonde calma e tranquillità nella prima parte del brano per poi esplodere letteralmente in una conclusione musicalmente aggressiva, in grado di sfiorare l’hard rock. Ecco le due anime dei Paramore e, da quanto ascoltato fin ora, potrebbero essere molte di più. Un gradevole lavoro che punta alla sperimentazione con gusto e attenzione.