Dopo quindici giorni eccoci di nuovo qui a parlare di The Passenger ma soprattutto della nostra band per le prossime due settimane. Loro sono i My Mistakes e sì, sono italiani.
Prima di passare alla musica, che è la peculiarità della rubrica, naturalmente, approfondiamo l’origine del gruppo. Band nata a Vasto, amanti principalmente di brit-rock e indie-rock, i My Mistakes nascono come una delle tante cover band di Oasis e Coldplay. Attivi con il primo vero disco da pochissimo tempo, i My Mistakes lo presentano alla stampa con le seguenti parole: “il nostro primo disco di inediti racchiude le nostre storie, i nostri momenti, errori, viaggi, fuochi, paure, soddisfazioni, e la nostra passione per la musica“.
Siamo solo all’inizio di un percorso che ha tutte le carte in tavola di protrarsi nel tempo. La stoffa musicale ai My Mistakes non manca e basta ascoltare qualche loro canzone per capirlo. Prima di passare all’approfondimento di “Campbell Road” vi proponiamo la chiacchierata che abbiamo fatto con loro, ricordandovi che il disco è uscito in digitale il 15 Ottobre 2013 presso i maggiori distributori.
Chi sono i My Mistakes? Ce lo raccontano loro stessi…
I My Mistakes sono un gruppo di Vasto, Luca Capezio alla voce e chitarra, Fabrizio Ranucci alla chitarra, Paolo D’adamo al basso e Daniele Salvatorelli alla batteria, appassionati di musica brit, rock, indie, folk, country e del song writing sincero ed elegante. My Mistakes “I miei errori, la mia vita, ci dice Luca, autore dei testi dei MM , è colma di errori, a partire da quando odiavo la scuola da bimbo, ma il problema non è tanto guardare al passato e riconoscere i propri errori, il problema è che anche oggi, volontariamente, continuo a fare almeno un buon 50% degli errori che faccio da sempre. My Mistakes per me è un tatuaggio, come quello che ho sul braccio, un promemoria marchiato a fuoco su pelle al quale non si può sfuggire facendo finta di nulla come al solito. Parlare di me nella mia musica, dei miei errori, delle mie paure, dei miei affetti e delle mie illusioni mi aiuta anche in questo, è uno dei modi più efficaci per farli salire in superfice, esorcizzarli, affrontarli e migliorare. Farlo in una lingua che non è la mia poi, rende il processo ancora più semplice in quanto posso comunicare più liberamente e con distacco quando esprimo pensieri personali. Se riesco in questo è anche grazie all’armonia, sintonia e fiducia che c’è tra di noi all’interno del gruppo.”
A Tu per Tu con i My Mistakes
Adoriamo quando le band dimostrano, oltre di aver stoffa, anche di saperci fare con i mezzi stampa e di comunicazione. Il progetto The Passenger che ormai proponiamo da diversi mesi non è privo di difficoltà ma quando è la musica che parla il tutto diviene molto più facile e comprensibile. Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con i My Mistakes e la caratteristica che abbiamo maggiormente apprezzato è stata la loro completezza d’informazioni. Una band che si è dimostrata molto chiara e disponibile. A voi, i My Mistakes.
1. Il sottogenere brit-rock, assieme al sempreverde indie-rock, è forse uno dei più acclamati degli ultimi anni. Un prolificare di band che si perdono subito dopo il primo disco d’uscita, probabilmente anche per una concorrenza spietata. Se vi abbiamo dato spazio qui a MelodicaMente è perché pensiamo e speriamo che per i My Mistakes non sarà così. Quale ritenete sia la vostra carta vincente? Se doveste raccontare le caratteristiche della vostra musica, che termini usereste?
Il panorama musicale degli ultimi anni è cambiato radicalmente, fino a 20 anni fa riuscire a fare un disco era il punto d’arrivo, avere un album pronto che suona, con un videoclip per un singolo, era una chimera per pochi ed un prodotto invitante per le produzioni; oggi invece è il punto di partenza, chiunque con un semplice computer da casa può fare musica; questo, insieme alla diffusione di internet e social networks, porta ad avere un numero immenso di persone che provano a fare musica. Il bicchiere mezzo vuoto, quindi, è che c’è un tale prolificare di band che si perdono talvolta anche prima del primo disco, (la globalizzazione delle informazioni porta ad avere una concorrenza spietata) essendo un confrontarsi con tutto il mondo in tempo reale. Il bicchiere mezzo pieno invece, è che quando si ha un prodotto valido, nel raffronto con la moltitudine di musicisti esordienti e non, si spicca ancora più visibilmente, quindi chiunque abbia del potenziale, ha oggi la fortuna di potersi far notare dal mondo con pochi click.
I My Mistakes sono musicalmente una mescolanza di generi e gusti: io, Luca, spirito più indie, folk, brit, acustico e ricercato, chitarra autodidatta; Paolo e Daniele, rispettivamente basso e batteria, che formano una base ritmica solida, dal tiro molto rock statunitense alla RHCP, con un affiatamento straordinario; Fabrizio, il chitarrista che tutti vorrebbero negli studio o come turnista, minuzioso nella ricerca dei suoni, impeccabile nelle esecuzioni, perfezionista, un po’ rompipalle a volte, ma è la giusta antitesi al mio modo di essere e suonare senza troppi perché. “My Mistakes” è per me un tatuaggio, un promemoria marchiato a fuoco sulla pelle al quale non si può sfuggire facendo finta di nulla come al solito. Come autore dei testi, parlare di me nella mia musica, dei miei errori, delle mie paure, dei miei affetti e delle mie illusioni è uno dei modi più efficaci per farli salire in superfice, analizzarli, esorcizzarli, affrontarli e migliorare. La carta vincente è importante non cercarla per forza, suonare perché ci piace, perché piace alla gente che viene a sentirci, suonare con passione, essere svincolati da qualsiasi imposizione o necessità di emulare, essere coerenti e non tradire mai o mentire al proprio pubblico. Personalmente ciò che ci soddisfa di più del risultato del nostro primo album è che ci piace davvero ascoltarlo come ascoltare un disco degli Oasis o dei Coldplay o dei Wilco o degli Interpol. E poi abbiamo un bassista strafigo. [ride]
2. Autoproduzione. Una scelta da voi stessi già spiegata molto bene. Pensate che l’autoproduzione sia un bene per la musica italiana oppure è semplicemente una conseguenza? Ci sono diversi esempi del sottobosco alternativo italiano che hanno autoprodotto i propri dischi e sono diventati dei grandi successi di pubblico. Quali sono le vostre influenze italiane? Quali band ascoltate con piacere e pensate che siano un bene per l’Italia?
Sì, uscire al giorno d’oggi con un’autoproduzione per un primo disco è la scelta più sensata. Un’altra conseguenza del proliferare di migliaia di ragazzini che sognano di fare musica è che ci sono centinaia di piccole etichette, spesso anche arrangiate, che non fanno altro che approfittare di chi vorrebbe farsi conoscere, offrendo chi più chi meno gli stessi pacchetti apparentemente “sbrilluccicosi” di uffici stampa, promozioni, interviste radio e tv, video ai più grandi network televisivi; il risultato reale di tali contratti si riduce al far spendere ai malcapitati di turno migliaia di euro per qualche email in newsletter, un paio di recensioni, interviste e passaggi in radio locali ed alla fine del contratto, solitamente 3 o 6 mesi non di più, non accade nulla e tanti saluti. Morale della favola: fidatevi solo di chi non vi chiede soldi, ma royalties, al massimo.
Di italiano ci piace molto sia il cantautorato classico, che gli intramontabili Jovanotti, Vasco, Ligabue, che sono sempre un piacere da sentire dal vivo se si vuol vedere lo spettacolo da stadio, o i Negramaro, anche loro con un gran bel sound dal vivo o i Subsonica che avremmo ormai visto decine di volte live. Ascoltiamo davvero di tutto, dai Moravagine, Derozer, a Bugo e i Gemboy, ai Timoria, Verdena, Negrita, Afterhours, Litfiba, alla Consoli, Elisa, Morgan. C’è tanto di bello in Italia, il problema è che importiamo format e tendenze e cerchiamo di emularle, non valorizziamo quello che abbiamo ed esportiamo ancora meno. I tanto dibattuti talent show poi non sarebbero neanche un male (è una fortuna smisurata per un ragazzo poter fare una tale scuola ed esperienza) se poi i modelli imposti da seguire non fossero solo quelli di tendenza, ma soprattutto se esistessero realtà alternative con altrettanto seguito ed approvazione, come le realtà dei circuiti indie, ben radicate ed operose oltreoceano ed in alcuni paesi dell’Europa, che viaggiano parallelamente a quelle delle major.
C’è il MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti) che sta crescendo, la Mescal che è tornata in attività, ma tanto nel mondo della musica si sta trasformando, globalizzando e cambiando tutto così velocemente che ben presto il significato di pop, commerciale, mainstream, major, indie, distribuzione, diritti, significherà sempre meno.
3. Campbell Road. Londra nel cuore. Il panorama musicale europeo, in particolare quello inglese, sembra essere molto diverso da quello italiano eppure c’è sempre quella voglia di affermarsi nel proprio paese d’origine. Le vostre canzoni sono cantate in inglese forse proprio per essere maggiormente internazionali o perché il brit-rock cantato in italiano avrebbe perso la sua chiave di lettura? Avete mai pensato di cantare anche una sola canzone in italiano?
La musica nel cuore e il cuore per la musica, sì Londra è proprio la “city you love to hate” è quella città che odi con lussuria quando ci vivi, e ami e ti manca da morire quando torni nella tua città. La realtà è che le nostre canzoni sono cantate in inglese perché così mi viene da cantare istintivamente o in fase di trance creativa, se volessi scrivere in italiano dovrei farlo di proposito. Cosa che ho anche fatto e non mi dispiacerebbe un giorno, ho alcuni miei provini di brani in italiano e suonano anche bene, non credo sarebbero compatibili con il progetto My Mistakes, magari lo farei da solista come side project, ma non so se troverei mai la molla per farlo, preferisco parlare di me nella mia musica in una lingua che non è la mia, rende il processo più semplice in quanto posso comunicare più liberamente e con distacco quando esprimo pensieri personali.
Ad ogni modo, l’ultimo ritornello di Out of Control è cantato per metà in italiano, non è molto, ma è un inizio verso l’assoluzione, chissà.
My Mistakes – “Campbell Road”: l’ascolto del disco
Nove brani che come abbiamo già ampiamente detto profumano di british in ogni singola nota. Si parte con “Out of Control” che inizia ad introdurre l’ascoltatore in un clima molto inglese, dove il ritmo è sostenuto da un cantato ben coordinato con il suono prodotto. Si passa a “Emptiness” che appare molto simile nel suono ad “Out of Control”. Quello a cui si presta maggior attenzione è proprio questa atmosfera profondamente brit-rock che si viene a creare. Per essere al primo disco d’esordio vi sono ben poche sbavature. Il suono risulta essere molto pulito così come la voce.
E’ la volta di “Such a Beautiful” che “calma gli animi” e diventa una ballad in puro stile inglese del momento. Una canzone da assaporare. Una canzone che non si dimentica facilmente. Risulta essere profondamente piacevole, molto orecchiabile e musicale. Dopo due canzoni spinte verso il brit-rock puro si passa ad un genere più “commerciale”, dove non s’intende per forza qualcosa di negativo con questo termine, anzi. “I Feel” inizia con una parte strumentale che fa avanzare lentamente l’ascoltatore in punta di piedi. Un gran bel brano. Una ballata, anche qui, ma più sofferta, più intima rispetto alla precedente. “No Way” è probabilmente il brano che meglio rispecchia “Campbell Road”. Da ascoltare.
“Summer Day” è un altro brano molto orecchiabile mentre “Pouring Rain” riprende le sonorità classiche del brit-rock. I My Mistakes sanno mischiare sapientemente il suono, miscelando al meglio brani più sostenuti con quelli più rilassati. “Wasted Out” è, a gusto personale, la canzone migliore del disco. Un brano che ti porta su un altro mondo, semplicemente chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare. Un brano con l’atmosfera nelle note. Conclusione affidata a “We can afford life“, brano acustico, degna conclusione di un disco promettente.
I My Mistakes hanno ancora molta strada da fare ma “Campbell Road” è un ottimo inizio. Un inizio che fa ben sperare per le sorti della musica indipendente e non solo. Un disco che merita certamente di essere amato. Soprattutto se avete un cuore inglese.
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