Muse: Recensione Track By Track di “The Resistance”

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Muse - Artwork di The Resistance
Muse - Artwork di The Resistance

Muse - Artwork di The ResistanceThe Resistance“, il nuovo disco dei Muse, è arrivato da qualche giorno nei negozi. Tra gli album più attesi dell’anno, forse di uguale attesa per la musica rock solo “No Line on the Horizon” degli U2 e “Backspacer” dei Pearl Jam, esce tra pareri contrastanti, le genialiatà di Matthew Bellamy, ben supportata dai colleghi ed amici Christopher Wolstenholme e Dominic Howard, a volte sembrano troppe esagerate, a volte troppo ricercate, a volte veramente ben curate, sarà veramente difficile mettere d’accordo molte persone su “The Resistance”. Noi l’abbiamo ascoltato e vi diciamo la nostra.

“The Resistance” è un album che dimostra l’esperienza maturata dai Muse, musicalmente si presenta a livelli eccelsi mentre le liriche in alcuni pezzi lasciano un pò a desiderare ma senza deludere. Il cosmico Space Rock degli album precedenti, “Origin of Symmetry” in particolare, viene rivisto in un’ottica meno rigida, più progressive rock, quel new prog che la band alternative rock di Teignmouth ama tanto proporre, ma non mancano gli spunti agressivi come queli presenti in “Showbiz” nè l’alternative rock misto al synth rock di “Absolution”, riprendendo in parte anche “Black Holes and Revelations” in cui si erano sentite le prime citazioni al symphonic rock. Nonostante tutto ciò i Muse in “The Resistance” staccano nettamente dai lavori precedenti, riescono così ad avere continuità ed allo stesso tempo ad innovarsi e sperimentare.

Mixato da Mark Stent con l’aiuto di Ted Jensen alla masterizzazione e Adrian Bushby in qualità di ingegnere del suono, registrato presso lo Studio Bellini sul Lago di Como in Italia in delle sessioni che hanno visto presente addirittura un’intera orchestra composta da quaranta elementi, la Edodea Ensemble condotta da Audrey Riley e guidata dal primo violinista Edoardo de Angelis, “The Resistance” ha liriche ispirate da “1984” di George Orwell, anche se come dichiarato dallo stesso Matt Bellamy, che  lo ha riletto poco prima di scrivere i testi delle canzoni, si è fatto prendere più dalla storia d’amore presente nel libro che dalle tematiche sociali dello stesso. Musicalmente si sentono tutte le influenze che hanno formato i membri del gruppo sia in passato che recentemente, dai Queen ai Radiohead, dagli U2 a Jeff Buckley, dagli Oasis ai Nine Inch Nails (NIN), dai Rage Against The Machine, dagi Arctic Monkeys ai Deftones, dai Kasabian ai Who senza dimenticare i Depeche Mode.

Sebbene da molti visto come diviso idealmente in due parti, l’album può addirittura essere suddiviso in tre, una prima parte sullo stile classico dei Muse che va un po’ sul commerciale, una seconda parte di sperimentazione e una terza parte in cui c’è lo sfogo personale di Matt Bellamy.

Track by Track

  1. Uprising: apre con un riff iniziale in cui la batteria di fondo si fa subito sentire insieme ai synth segnando l’onda new prog che prende tutto l’album. Visionaria ed epica è la canzone perfetta per essere il singolo di lancio dell’album anche se alla fine si discosta da tutto il resto del disco.
  2. Resistance: sorprende un po’ poichè all’inizio da tipica ballata introspettiva ed intimista aumenta fino ad arrivare ad un coro strumentale. All’inizio che sa di evocazione si sussegue un pianoforte melodico che ricrea un’ atmosfera soffusa per poi passare ad un ritmo incalzante ed arrivando ad un ritornello abbastanza aggressivo.
  3. Undisclosed Desires: definirla contemporanea è dir poco, più che altro sembra sperimentazione commerciale pura, un pezzo che sa di R&B da Club USA  prodotto da Timbaland che sicuramente non lascerà il segno a meno di una ricezione dal mercato Statunitense fuori dal rock.
  4. United States Of Eurasia (+ Collatarel Damage): la canzone che tutti hanno portato a paragonare i Muse con i Queen. Puro Rock Sinfonico misto all’Opera Rock, segnato da una intro piano e voce tende a salire sinfonicamente ed unire i suoni e voce in un finale che potrebbe essere perfetto se non per l’esagerazione che sa di kitsch (tra lo stile “Bohemian Rapsody” dei Queen ed il richiamo al Bolero di Ravel) e propone cori che sembrano già sentiti. La ghost track invece completa la canzone con un richiamo al “Notturno in Mi Bemolle Maggiore, Op.9 No. 2” di Chopin.Il tutto a chiusura della prima parte dell’album.
  5. Guilding Light: apre la seconda parte del disco e ricorda inizialmente un pezzo lento da U2 dei vecchi tempi, anche qui qualche reminiscenza della chitarra di Brian May dei Queen anche se a tratti sembra un pezzo del Elvis Presley rivisto in chiave contemporanea (una “Falling in Love” moderna). L’inizio quasi perfetto è seguito dall’assolo di chitarra di Matt Bellamy e da una notevole prova della sua estensione vocale che fa tornare malinconicamente alla mente le ballate degli anni 80.
  6. Unnatural Selection: forse la canzone più bella dell’album, dopo un’intro di organo e voce che sembra quasi voler richiamare Jeff Buckley parte un riff che sa quasi di punk, forse “Cyberpunk” come quello di Billy Idol, condito da un ritornello che spezza la canzone e la rende orecchiabile. Il ritmo incalzante ed i passaggi quasi nevrotici segnano la canzone come un possibile successo.
    li>MK Ultra: Nonostante anche qui si sente un nervosismo di base la canzone sembra non avere un grosso spessore lasciando il tempo che trova, al di la dei sintetizzatori, le tastiere e quel che sembra piano rock misto a progressive metal. Se ci fossero dubbi sarebbe sicuramente da salvare il finale che mette un pò a posto la restante parte del brano, ma la canzone è da riascoltare più volte per coglierne i lati migliori.
  7. I Belong to You (+ Mon Cœur S’ouvre à ta Voix): chiude idealmente la seconda parte dell’album, ottima sperimentazione in cui Matt Bellamy canta, su una base molto rock, anche in Francese, passando da un pianoforte sostenuto ad un tratto che sembra quasi un musical per finire ai cori tra i violini. Qui l’Opera prende il sopravvento grazie anche alla presenza dell’aria da mezzosprano tratta dall’opera lirica “Samson et Dalila”(“Sansone e Dalila”) di Camille Saint-Saëns.
  8. Exogenesis: Symphony Part I – Overture: segna l’inizio della terza parte e apre il trittico di “Exogenesis” con un falsetto di Matthew Bellamy che sembra preso anch’esso da un’opera classica, nel brano apre un arpeggio di violini in cui poi i restanti strumenti fanno da contorno con quello che ancora resta di musica elettronica.
  9. Exogenesis: Symphony Part II – Cross Pollination: un nostalgico pianoforte realizza una sublime melodia continua lo sfogo personale di Matt Bellamy.
  10. Exogenesis: Symphony Part III – Redemption: omaggia alla musica classica in un pezzo stupendo che chiude di fatto l’album.In definitiva l’album non è immediato, sicuramente registrerà tante vendite grazie anche all’ondata commerciale e all’ottima autopromozione fatta dai Muse, molto pretenzioso e abbastanza sperimentale ben condito da una produzione non indifferente, è da valutare a mente fresca visto alcune particolarità non immediate. “The Resistance” sembra non portare con se alcun capolavoro, brano indimenticabile o hit da primato in calssifica per mesi, per intenderci nessuna nuova “Knights of Cydonia” o “Bliss” o “Time Is Running Out”, però nel complesso è un ottimo album, con brani degni di nota, segnato da alcune raffinatezze che potrebbero segnare un nuovo corso per il futuro.

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