Mumford and Sons: “Babel”. La recensione

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Questo è il grande momento dei Mumford and Sons. Mentre la band londinese domina la classifica Billboard, le recensioni riguardanti il loro secondo lavoro, pubblicato solo una manciata di giorni fa, proseguono incessanti con voti molto positivi. Personalmente, i Mumford and Sons mi avevano già stregato con il disco d’esordio “Sigh No More”, l’emblema della musica viscerale e genuina, così semplice ma nello stesso tempo corposa da riuscire ad essere perfetta. “Babel” si dimostra essere più maturo e maggiormente strutturato ma, l’essenza dei Mumford and Sons fortunatamente rimane intatta. Il gruppo londinese inserito nel genere musicale “indie folk” si è formato nel 2007 e, prima del loro album di debutto, la band ha pubblicato diversi EP dove è visibile una sperimentazione continua e una ricerca di un sound che poi è culminato nel primo disco di debutto pubblicato nell’ottobre 2009 dal titolo “Sigh No More”. Certificato disco di platino, l’appena citato lavoro raggiunse la seconda posizione della classifica britannica facendo conoscere in tutto il mondo i Mumford and Sons. Per i pochi che ancora non lo sapessero, la formazione UK si compone di Marcus Mumford, Winston Marshall, Ben Lovett ed infine Ted Dwane. La voce principale è quella di Marcus Mumford ma vi sono diverse parti corali realizzate assieme agli altri membri; tutti e quattro sono polistrumentisti.

Mumford and Sons – “Babel”, l’analisi del disco:

Dopo il fortunato “Sigh No More” del 2009, i Mumford and Sons hanno dato alle stampe “Babel”, il secondo disco, il 27 Settembre 2012.

La tracklist del lavoro è la seguente:

Mumford and Sons - Babel - Artwork
Mumford and Sons – Babel – Artwork
  1. Babel
  2. Whispers in the Dark
  3. I Will Wait
  4. Holland Road
  5. Ghosts That We Knew
  6. Lover of the Light
  7. Lovers’ Eyes
  8. Reminder
  9. Hopeless Wanderer
  10. Broken Crown
  11. Below My Feet
  12. Not with Haste
  13. For Those Below (Bonus Track)
  14. The Boxer (Bonus Track)
  15. Where Are You Now (Bonus Track)

Inizio con il dire che “Babel” fa di nuovo centro, quindici canzoni che riportano all’essenza del folk vecchia maniera, rendendolo però moderno e alla portata di tutti. I rimandi della band sono molti e l’immagine di Bob Dylan sul palco assieme ai Mumford and Sons è una di quelle foto da scattare e appendere al muro come una reliquia e un memo per il futuro. I Mumford and Sons si presentano sul palco con abiti fuori “moda” attuale che vorrebbe tutti vestiti dai migliori stilisti in circolazione, si presentano sul palco portando un sapore musicale degli anni passati ma che risulta essere proprio per questo qualcosa di nuovo e in controtendenza.

I Mumford and Sons hanno diversi lati positivi: innanzitutto riescono ad essere immediatamente simpatici, riescono a scatenare interesse ed empatia, risultano così alla mano che viene spontaneo approcciarsi alla loro musica già con tutta la positività possibile e, appena il disco parte, le aspettative non vengono deluse. Passando strettamente al lato musicale, un altro pregio dei M&S è il loro sound così orecchiabile senza essere sfacciatamente pop, così folk senza però risultare pesante, un miscuglio di indie, folk, con una lieve venatura di pop che produce come risultato qualcosa di ammaliante e semplice, profondamente rilassante ma soprattutto emotivo.

Ciò che risulta fin da subito palese è l’autenticità di “Babel” che risulta essere un canto corale, un manifesto adattabile a qualsiasi popolazione, un manifesto di musica che la si può immaginare unicamente live e non in uno studio di registrazione. Quando i M&S sono venuti a Verona, molti scettici della formazione, si sono ricreduti proprio perché la band ha il grande pregio di coinvolgere mediante una musica a misura non di uomo ma di popolo.

Un calore che viene trasmesso in ognuno dei quindici brani di questo disco che riempie un tassello importante all’interno della carriera della band. Diversamente dal solito, ho preferito approfondire “Babel” nella sua interezza anziché analizzare minuziosamente ogni traccia, di cui citerò qualche aspetto di seguito, proprio perché è difficile e, a mio parere, controproducente snaturare un disco così corale.

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Mumford and Sons © Jason Merritt/Getty Images

La title track è la rappresentazione perfetta di tutte le parole precedenti, a cui sussegue “Whispers In The Dark” che regala malinconia e romanticismo seguita dalla spumeggiante e trascinante “I Will Wait”. “Holland Road” è una splendida ballata che avvolge e strazia, seguita da “Ghosts That We Knew” che è la canzone da riascoltare all’infinito con quel canto sofferto e silenzioso. Velocemente, in un continuo fluire si arriva alla sesta traccia “Lover Of The Light” che prepara il terreno, con una ballata strappalacrime, a “Lovers’ Eyes” che si posiziona fra le canzoni migliori del disco. “Lovers’ Eyes” scatena un groviglio in gola che fa trattenere il respiro, è un abbraccio musicale, è qualcosa di cui si ha profondamente bisogno. Il sound della band è un miscuglio fra banjo, violino, fisarmonica, mandolino il tutto supportato dai cori e dalla voce di Marcus.

Siamo a metà disco e non è facile riprendersi dalla bellezza di “Lovers’ Eyes”. “Reminder” scorre veloce e straziante, termine di cui ho abusato in questa recensione ma non esiste un sinonimo così perfetto per descrivere determinate canzoni dei M&S. “Hopeless Wanderer” è la purezza fatta a canzone, qualcosa che scorre sulla pelle entrando sotto la pelle, raggiungendo gli organi vitali. I Mumford and Sons alternano ballate collettive e in qualche modo positive a brani che spezzano il respiro e, il tutto risulta essere un mix vincente. “Broken Crown” e “Below My Feet” rincarano la dose portando una malinconia che ricorda la nostalgia di terre lontane, di ricordi indelebili che non si possono cancellare. La versione standard si conclude con “Not With Haste”, un brano che non si contraddistingue per essere particolare ma per chiudere alla perfezione un disco che quadra perfettamente.

Ho voluto riportare anche le tre tracce della versione Deluxe, nella recensione di questo lavoro, in quanto a mio avviso danno qualcosa di ancora più marcato all’intero lavoro. C’è un omaggio alla tradizione folk, c’è un omaggio alle loro influenze e l’ascoltatore viene accompagnato per mano verso la fine di un disco che emoziona. Aspettiamo di rivedere presto i Mumford and Sons in Italia, perché un loro show è puro coinvolgimento. Ascoltare “Babel” è un’esperienza che non vi lascerà indifferenti, ci troviamo davanti ad una band che ha capito l’emozione che la musica è in grado di suscitare. I Mumford and Sons sono una sicurezza, una certezza di cui non si può assolutamente fare a meno.

Voto: Dite la vostra!

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