Mike Oldfield: “Man on the rocks”. La recensione

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Mike Oldfield, il geniale compositore e polistrumentista inglese nato a Reading ed autore nel tempo di classici come “Moonlight shadow”, “Tubular bells” o”Foreign affairs” ritorna cinque anni dopo il suo “Tubular Bells 2009” con un disco di inediti, “Man on the rocks“.

Il disco è stato registrato e prodotto per l’etichetta Virgin EMI da Oldfield stesso e Stephen Lipson tra Los Angeles e le Bahamas via Skype e vede la partecipazione del bassista Leland Sklar, del batterista John Robinson, del tastierista Matt Rollings, del chitarrista Mark Thompson e del cantante Luke Spiller.

Il disco, composto da 11 canzoni per quasi un’ora di musica, comincia con il folk rock di “Sailing” e prosegue con il pop rock di “Moonshine“, brano piacevolissimo all’ascolto e che dimostra come Oldfield riesca a spaziare tra vari generi musicali con facilità estrema. La title track “Man on the rocks” è una canzone onirica e sognante in crescendo che esprime tutta la sua potenza verso la fine con la coda strumentale.

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Mike Oldfield – Man on the Rock – Artwork

L’organo Hammond introduce “Castaway“, brano forse troppo sospeso nel suo inizio e che cerca di recuperare nel finale grazie alla batteria ed alla voce sostenuta ed effettata: non trova migliore fortuna  “Minutes“, brano pop piacevole e che scorre bene all’ascolto ma che non lascia traccia nell’ascoltatore. Prova a rialzare il disco “Dreaming in the wind” ma qualcosa nel disco comincia a stonare, soprattutto nelle parti strumentali dei brani un po’ troppo lunghe e slegate dalle canzoni stesse.

Nuclear” riporta il disco in linea di galleggiamento grazie alle sue chitarre effettate ed alla voce distorta e finalmente gli assoli di chitarra trovano un senso: “Chariots” ci accoglie con un riff rock pieno di speranza che lascia però spazio ad un brano dal tempo spezzato che lascia un po’ l’amaro in bocca per quello che poteva essere visti gli imponenti suoni finali in pieno progressive.

Il penultimo pezzo è “Following the angels” è la canzone più lunga del disco, un brano rock che comincia in maniera lenta per salire in crescendo fino al falsetto finale: il disco si avvia verso la fine con “Irene“, canzone blues rock dedicata all’uragano che colpì le Bahamas nel 2011 e termina con “I give myself away“, cover di un brano gospel di William McDowell che mantiene la sua dolcezza e che chiude benissimo il disco.

Per chi come me è nato nei favolosi anni Ottanta, il nome di Mike Oldfield rimarrà per sempre irrimediabilmente legato a canzoni come “Moonlight shadow” e “Foreign affair” ed ad un disco come “Tubular bells”, dallo stesso autore ahimè riproposto in ogni salsa possibile ed immaginabile. Dopo tanti anni arriva finalmente un nuovo disco di inediti… ed il risultato purtroppo non è all’altezza delle aspettative riposte in questo disco. L’inizio di “Man on the rocks” è molto promettente ma il disco alla lunga ha una flessione, soprattutto nella parte centrale, dove le canzoni faticano a decollare e dove gli assoli non riescono a riempire il vuoto che prova l’ascoltatore. Si salvano pochi brani (ed uno è incredibilmente la cover finale del disco) e questo, per un artista del calibro di Mike Oldfield, non è un bene.

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