Melampus: “Ode Road”. La recensione

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Melampus - "Ode Road" - Artwork

I Melampus nascono musicalmente a Bologna, da due membri fuorisuciti dai rispettivi gruppi, i Buzz Aldrin e i Nel Dubbio, e nel 2011 autoproducono l’EP “All in all“. Dopo l’EP arriva il momento del grande salto, ed ecco “Ode Road“, il loro primo disco da 9 tracce.

La formazione vede l’artista visiva, pittrice, tatuatrice e bassista Francesca “Billy” Pizzo (voce, chitarra, piano e percussioni) accompagnata dal fotografo e batterista Angelo “Gelo” Casarrubia: il disco è stato registrato presso gli studi del Locomotiv Club di Bologna da Giovanni “Vanni” Garoia ed Emanule “Nene” Baratto. Quattro brani del disco sono inseriti nella colonna sonora del film “L’uomo doppio” di Cosimo Terlizzi.

Partiamo subito dicendo che il disco fonde in sè molte diverse atmosfere: dal dark degli anni ’80 al sixties-pop, fino alle atmosfere da crooner e da torch-songs degli anni ’50, ma sempre con un tocco cupo e crudo.

La partenza del disco è affidata alla batteria e alle chitarre taglienti di “Freedom“, nonchè alla voce ipnotica di Francesca. Le tastiere invece introducono “Joel“, con una atmosfera sospesa a metà tra PJ Harvey e Patti Smith, seguita a ruota da “The Path“, canzone che conclude questo primo “trittico” più cupo e lento, quasi denso.

ode road melampus
Melampus – “Ode Road” – Artwork

Con “Fall” entriamo in un altro mondo, un mondo dove si sentono forti le influenze dei Joy Division nella prima parte tranne esplodere poi nel rock lento e cupo della seconda parte. “Thirst” sembra uscita dritta dritta da un film western, con tanto di vento di sottofondo che soffia la sabbia del deserto. La voce sussurrata di “Introduction” e le sue campane ci portano verso una nuova parte del disco.

Double Room” è forse il pezzo del disco che si fa più facilmente ascoltare e ci immerge in atmosfere rarefatte e particolari. Con “Dots” siamo di nuovo in pieno territorio cupo e dark, dove la fine sembra annunciare qualcosa che non verrà. Il disco si conclude con “Walk with me“, dove la voce di Francesca canta a ritmo delle percussioni un pezzo che sembra una ninna nanna.

Il disco è molto complesso, in alcuni punti ostico all’ascolto, e indirizzato verso un genere preciso di ascoltatori: non tutti troveranno piacevoli le atmosfere dure e cupe dei brani, ma per chi ama questo genere musicale c’è un album che viaggia bene su binari solidi e acquisiti da un passato ancora oggi attuale.

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