E’ la notizia del giorno che sta occupando la prima pagina, digitale e cartacea, di qualsiasi giornale online e non: Megaupload e Mediavideo sono stati oscurati dall’Fbi e del Dipartimento di Giustizia americano in quanto rei di violare il copyright. Questa la motivazione della chiusura di due dei siti più visitati e, più utili in assoluto. Il Washington Post classifica Megaupload al tredicesimo posto della hit dei siti più consultati al mondo.
Che cosa è Megaupload?
Innanzitutto, prima di addentrarci nella questione, vediamo meglio che cosa è in realtà il sito. Definito come “cyberlocker” è visto come un contenitore nel quale gli utenti possono caricare, fare l’upload, di file che sarebbero troppo grandi da condividere con le altre persone, considerando il limite delle e-mail. Nato principalmente a questo scopo, è da subito diventato una sorta di grande scatola in cui gli utenti che dispongono di qualche contenuto lo mettono a disposizione degli altri per il libero download, a cui si aggiunge la versione Premium per gli utenti che desiderano maggior velocità e l’assenza di limiti nello scaricamento dei file. Quale è il problema? La questione è che molti contenuti che vengono messi online sono protetti da copyright e, la condivisione e diffusione dei link via forum, blog e siti alimenta il giro della pirateria e della propagazione di contenuti pirata. Come dicevamo ad inizio articolo il sito è davvero molto utilizzato anche dalle star che, non hanno mai nascosto di sfruttarlo per scaricare musica e film dal web, a partire da Kim Kardashian, passando per Alicia Keys e Kanye West.
La chiusura di Megaupload passo per passo
Rivediamo meglio la questione cercando di capire la procedura che è stata messa in atto in America: in questi giorni negli Stati Uniti si sta discutendo molto di pirateria digitale e della legge SOPA che, qualora venisse accettata, sarebbe davvero la morte di qualsiasi sharing sul web. L’Fbi, insieme alle forze del Dipartimento di Giustizia americano, proprio nelle scorse ore ha, innanzitutto diramato l’arresto del fondatore del sito, Kim Schmitz insieme a tre suoi collaboratori che sono stati a loro volta arrestati in Nuova Zelanda, su richiesta delle autorità USA. Le accuse che pendono sulla loro condanna sono sicuramente pesanti, si parla fino a 50 anni di prigione ciascuno, anche se, le motivazioni saranno ancora tutte da chiarire e scoprire in tribunale.
In particolar modo, dal comunicato diffuso da Megaupload in difesa, appunto, all’oscuramento, si legge che il portale è responsabile del fatto che “la stragrande maggioranza del traffico generato è legale. Siamo qui per restare.” Concludendo, poi, che l’industria dell’intrattenimento sta attuando questa forte condanna in quanto “vuole solo avvantaggiarsi della nostra popolarità”. Un messaggio vigoroso ma sicuramente condivisibile quello diffuso dal sito di filesharing che è considerato un po’ il baluardo e il rappresentante di molti altri siti di condivisione da fileserve, passando per filehosting e altri ancora.
D’altro canto, il Dipartimento di Giustizia, ha motivato la chiusura del sito e l’arresto dei responsabili con le seguenti parole:
“Megaupload ha riprodotto e distribuito illegalmente su larga scala copie illegali di materiale protetto da copyright, tra cui film – anche prima dell’arrivo in sala – musica, programmi televisivi, libri elettronici e software”.
Il The Associated Press riporta, inoltre, che l’accusa fatta dal Governo al sito è quello di aver provocato perdite al mondo dello spettacolo per ben 500 milioni di dollari, derivanti, appunto, dagli introiti sfumati per la mancata vendita di musica, film, videogiochi e altri contenuti.
La rivoluzione del popolo del web
Sul web, immediatamente, è scattata una vera e propria rivoluzione a furor di popolo: Facebook ma soprattutto Twitter sono stati invasi da messaggi, petizioni, proteste e, il social network dell’uccellino cinguettante è andato sovraccarico così spesso che la balenottera che appare quando vi sono troppe connessioni, ormai, era un consuetudine.
La legge SOPA sta davvero mobilitando tutto il popolo della rete e, non solo comuni mortali che manifestano dissenso ma anche vere e proprie forze del web come Wikipedia che, ha approvato le 24 ore dello sciopero di internet proprio per protestare verso questa legge antipirateria in discussione al Congresso in quanto, siti come Google e Wikipedia verrebbero rivoluzionati e soprattutto privati del loro motivo d’essere essenziale ossia la libertà di espressione online.
Rivediamo la questione con tanto di date: il 18 gennaio 2012 si è messa in atto la protesta della rete definita come uno “sciopero del silenzio” a cui hanno preso parte istituzioni come Wikipedia e WordPress. Lo sciopero è tutto indirizzato contro la SOPA, legge che si stava discutendo in USA proprio nelle stesse ore ma che è stata rinviata a data da destinarsi, presumibilmente a febbraio, dopo la conclusione dei ritiri annuali delle forze democratiche e repubblicane. La SOPA vive anche di un decreto legge parallelo, il PIPA, Protect Ip Act, che deve essere discusso da Senato e Camera.
I cosiddetti pirati della rete, meglio conosciuti come hacker, non sono di certo rimasti a guardare la situazione ma, nelle ore che hanno seguito l’oscuramento di Megaupload e Megavideo si sono attrezzati in una vera e propria campagna contro i siti del Dipartimento di giustizia americano, della casa discografica Universal, della Recording Industry Association Of American e della Motion Picture Association of American ree di aver sostenuto e voluto fortemente l’oscuramento del famoso sito di sharing. Questa mobilitazione, dall’hashtag #OpMegaUpload ha da subito trovato un consenso smisurato, simbolo che il popolo della rete vuole libertà sul web.