Il massacro di Jonestown e l’impatto che ha avuto sulla musica

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Nel corso della storia sono accadute le cose più assurde, più atroci, misteriose, cibo buono per complottisti e non che al contempo hanno avuto n impatto notevole sulla cultura di massa, musica inclusa. Una di queste è il suicidio di massa passato alla storia come massacro di Jonestown, avvenuto il 18 novembre 1978.

Il Progetto Agricolo del Tempio del Popolo (People’s Temple Agricultural Project) era una comunità creata dal predicatore Jim Jones in Guyana. La storia parte da molto lontano e nasce dalla mente disturbata di Jones che con il suo carisma è riuscito a dare vita ad una vera e propria setta. La storia è raccontata, tra gli altri, nel documentario “Jonestown: The Life and Death of Peoples Temple”, che ripercorre l’intera vita del fondatore del movimento. Negli anni in cui prendeva forma la cultura hippie, Jones fu in grado di sfruttare la presenza sempre più crescente di comuni per dare vita al suo Tempio del Popolo. Nel giro di poco tempo riuscì a mettere insieme migliaia di persone, quasi sempre emarginati che pensavano di aver trovato, finalmente, il loro riscatto, il loro posto nel mondo.


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Da Indianapolis alla California – dove ebbe perfino contatti politici – fino ad arrivare in Guyana, un paradiso terrestre dove Jones avrebbe potuto esprimere tutta la sua follia in totale libertà. Tra le persone che vivevano a Jonestown, solo 127 riuscirono a salvarsi, mentre le altre 909 persero la vita. Il loro carismatico leader, che adoravano come un dio, fece bere loro della Kool-Aid alla quale era stato aggiunto del cianuro, per mettere in atto quello che lui definiva un “suicidio rivoluzionario”. Non si sa se ci fosse cianuro anche nel bicchiere di Jones, che invece morì sparandosi alla tempia nel caos di quell’orribile 18 novembre 1978.

Il pensiero delirante di Jim Jones passava dai precetti cristiani al socialismo, nella sua setta però furono denunciate molestie sessuali e violenze, in particolare quando il leader iniziò a non riuscire più a gestire i suoi problemi con l’alcol. Il massacro di Jonestown, inutile dirlo, ebbe un’enorme eco mediatica e se ne parla tutt’oggi. Questo avvenimento sconvolgente ha avuto il suo impatto anche sulla cultura di massa ed è stato affrontato anche nel mondo della musica.

I primi a venire in mente, quando si parla di questo evento, sono The Brian Jonestown Massacre. Il gruppo, nato a San Francisco nel 1990, mette insieme il famigerato suicidio di massa con il nome di Brian Jones, il fondatore dei Rolling Stones scomparso nel 1969. Il gruppo si contraddistingue per il suo sound psichedelico. Non a caso, quando si parla di neopsichedelia non si può fare a meno di citare il frontman della band, Anton Newcombe. Talentuoso e geniale tanto quanto tormentato, con i suoi problemi di alcolismo e tossicodipendenza, Newcombe ha rischiato più volte di mandare all’aria il progetto.



Come dicevamo, si è parlato moltissimo e in molti modi del massacro di Jonestown. Dal cinema alla tv, tra documentari e citazioni (come in “American Horror Story: Cult”) o nel film “Mangiati vivi!” di Umberto Lenzi. Nel mondo della musica l’omaggio più grande è sicuramente quello di Newcombe e co, non solo nel nome del gruppo ma anche nel brano “Ballad of Jim Jones” (dall’album “Thank God for Mental Illness”). Esistono numerosi brani intitolati “Jonestown”: il primo, in ordine cronologico, è di Frank Zappa e risale al 1984, contenuto nell’album “Boulez Conducts Zappa: The Perfect Stranger”. Nello stesso anno i Manowar pubblicavano “Guyana (Cult of the Damned)”. Nel 2018 Post Malone ha pubblicato il suo secondo album “Beerbongs and Bentleys”, che contiene “Jonestown (interlude)”. Il tema è stato affrontato anche dai Foo Fighters in “La Dee Da” dell’album “Concrete and gold” (Psychic Television and Death in June / Jim Jones painting in a blue bedroom); il Jim a cui si riferisce Lana Del Rey in “Ultraviolence”, infine, è proprio Jim Jones.

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