Marlene Kuntz: “Lunga attesa”. La recensione

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I Marlene Kuntz sono tornati sulla scena musicale con un nuovo disco, “Lunga Attesa”: il nuovo album di inediti, a venti anni dalla pietra miliare “Catartica“, è il decimo di una carriera venticinquennale che ha di fatto impregnato e influenzato in maniera decisiva il rock italiano. Il disco, anticipato dal singolo “Fecondità”, è stato descritto così dagli stessi Marlene: “Il suo tiro, la sua cantabilità, le sue chitarre groovy e noise al contempo, danno un’idea del tipo di attitudine del disco. Una attitudine marcatamente rock, nel senso più ampio possibile, con un suono bello, scuro, sporco. Il testo invita alla morigeratezza nell’uso delle parole, dette e scritte: viviamo in un’epoca chiassosa dove tutti, sempre più, dicono tutto. E il silenzio, così proverbialmente ricco di preziosità, latita agonizzante.”

L’album è stato anticipato da una singolare iniziativa, ovvero dalla possibilità da parte dei fans dei Marlene Kuntz di musicare il testo del brano “Lunga attesa” con le tre migliori canzoni valutate per interpretazione, performance e arrangiamenti che porteranno i loro creatori a eseguire dal vivo la loro “Lunga attesa”, aprendo il primo concerto del tour dei Marlene Kuntz: l’album è stato seguito anche dal documentario “Marlene Kuntz. Complimenti per la festa”, il film diretto da Sebastiano Luca Insinga, che celebra i Marlene Kuntz, a vent’anni dal loro album di debutto e che è stato distribuito nei cinema mercoledì 17 febbraio 2016.

front
Marlene Kuntz – Lunga Attesa – Artwork

“Lunga attesa” è un lavoro da oltre un’ora con solo dodici canzoni al suo interno ed è un lavoro che guarda al passato della band con un occhio verso le tendenze del futuro. Loro sono sempre gli stessi, ovvero Cristiano Godano alla chitarra e voce, Luca Bergia alla batteria e Riccardo Tesio alla chitarra, insieme al fido Luca Saporiti al basso, e dalle prime note ti accorgi che non è cambiato niente, anzi addirittura hai un certo senso di deja vù e di ritorno alle melodie degli anni Novanta, periodo d’oro del gruppo cuneese.

Certo, ora che l’età media del gruppo si avvicina ai cinquant’anni non c’è più quella cattiveria primordiale e giovanile che ha caratterizzato pezzi come “Il vile“, “Festa mesta“, “Nuotando nell’aria” e “Sonica“, ma i testi riflettono ancora lo stesso carattere degli esordi e lo stesso approccio nei confronti della realtà, dato che sono scritti senza nessun filtro e colpiscono l’ascoltatore come tanti pugni nello stomaco (vale per tutti l’intro di “Lunga attesa”: “Noi non siamo altro che nulla/nelle immensità universali/Mio Dio…/Nulla è pur sempre qualcosa/nelle vastità concettuali/Mio Dio…/Ma è così importante/quanto piccoli siamo noi?”)

Il disco si apre con “Narrazione“, pezzo che con la sua chitarra elettrica iniziale dimostra che il marchio di fabbrica è ben presente e vivo e che siamo ben piantati in un nucleo narrativo e musicale che ha del miracoloso per quanto sia rimasto immacolato nonostante ne siano passate di primavere: “La noia” conferma questa impressione e anzi mostra come il gruppo sia tornato a puntare anche sulla potenza dei riff e dei ritornelli che rendono più digeribili i testi e il cantato di Godano, che ricorda molto da vicino le esperienze musicali dei Massimo Volume, una narrazione contemporanea a metà tra il canto e la recitazione alla Carmelo Bene.

Niente di nuovo” è il pezzo più lungo del disco e deve tutto alle sue atmosfere dilatate, tagliate dalle chitarre elettriche come rasoi, con un ritornello che pesca nello stone rock e nello shoegaze: subito dopo troviamo la title track (di cui abbiamo già parlato prima) e “Un po’ di requie“, un pezzo dal forte sapore college rock, forse il brano più melodico del disco e che mostra come nel corso di questi anni i Marlene abbiano appreso tante lezioni dai vari stili musicali che hanno suonato per poi riprendere la strada verso casa senza dimenticare il bagaglio musicale immagazzinato.

La chitarra distorta e la melodia sono il punto di forza di “Il sole è la libertà” mentre “Leda” ci delizia con il suo punk arioso e moderno (sembra di ascoltare i Baustelle in distorsione). Subito dopo una interferenza di suono apre “La città dormitorio“, brano lento e cupo che si insinua sotto pelle grazie anche ad un testo crudissimo e senza compromessi sulla realtà di oggi (“L’entusiasmo è un’agonia nella città mortorio/e lo stupore un’imprudenza da addomesticare/quando volge a tutto ciò che non si può capire/e quando fa di ogni cosa nuova un avversario“).

Sulla strada dei ricordi” è un meraviglioso brano alternative rock dalle scalate chitarristiche in purissimo stile Sonic Youth e dall’incedere spietato, senza pause e senza remore: l’atmosfera si addolcisce con “Un attimo divino“, canzone d’amore moderna e commovente (“Ma io ti stringerò/quando sarai con me/e quelle lacrime/una ad una asciugherò/Si io ti stringerò/quando sarai con me/e dalle lacrime/tornerai a sorridere”) per poi ingranare la quinta con il rock senza compromessi e tutto in salita di “Fecondità” e chiudersi degnamente con l’alternative rock da manuale di “Formidabile“.

Lunga attesa” non è un disco fatto per piacere al pubblico mainstream, cosa a cui i Marlene Kuntz non hanno mai puntato, e lo si nota dalle prime note: non ci sono compromessi o tentennamenti in questo album, non c’è nessuna assoluzione nei testi, nessuna inclinazione al pop dei precedenti dischi. Questo disco nasce con lo sguardo rivolto agli anni Novanta rileggendo la storia dei Marlene filtrata da tutte le esperienze musicali di questi anni, esperienze che permettono alla band di spaziare dal rock melodico al noise senza nessun imbarazzo ma anzi con piena padronanza dei propri mezzi. E’ un’evoluzione nel percorso musicale della band piemontese ma che segna un netto ritorno di un sentimento storico, ovvero quella rabbia e quella sincerità brutale, lirica e sonora, che ne ha caratterizzato gli esordi. Certo, sono passati tantissimi anni, non c’è più la velocità degli esordi, ma la rabbia ora è distillata, quasi sublimata, centellinata nota per nota, parola per parola, lasciando in bocca quel sapore amaro e acre proprio della vita reale. “Lunga attesa” è un meccanismo perfetto, un caleidoscopio di emozioni e sensazioni che rimanda ad un’unica immagine complessiva dal forte retrogusto di passato e di ottime sensazioni musicali sottopelle. Un disco come raramente se ne sentono in Italia.

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