Marilyn Manson: “Heaven upside down”. La recensione

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Morti gli echi blues del precedente “The pale emperor” del 2015, Brian Warner (aka Marilyn Manson), il Reverendo della musica rock e dark di questi anni torna sulle scene musicali con il nuovo “Heaven upside down“, decimo disco della sua lunga scritto, suonato e registrato come il precedente con la collaborazione fondamentale del produttore e multistrumentista Tyler Bates (con anche Twiggy Ramirez alla chitarra e basso e Gil Sharone alla batteria). E come al solito questo disco divide l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori. Ma non per le ragioni che potreste pensare voi.

Certo, appena si sente parlare di Marilyn Manson vengono subito in mente sette sataniche, messe nere, musica inascoltabile (per alcuni), video a dir poco paurosi (e da cui forse hanno preso ispirazione alcune serie televisive molto in voga come American Horror Story) ma come al solito, se ci riesce a liberare dalla nebbia ideologica che potrebbe precludere un ascolto di questo tipo e si sgronda il tutto dallo stile industrial-metal che lo ha reso celebre, ecco che viene fuori il solito Warner, un acuto osservatore della decadenza della società americana da cui dalla stessa è stato accusato di essere la causa di tutto. Non è un caso che ultimamente Manson sia voluto tornare sulla pagina più triste della propria carriera con queste amarissime parole: “Ai tempi, il massacro della Columbine High School ha distrutto la mia carriera”. E già, perchè per una certa America una delle cause di quel massacro fu proprio la sua musica “satanica“.

Con queste premesse, sembrerebbe assurdo che un artista faccia una sorta di suicidio commerciale e torni sui suoi passi invece di evolversi facendo germogliare i semi cupi e blues del disco precedente. E invece no. Manson, nel suo nuovo disco, ha deliberatamente deciso di tornare a indossare la sua maschera, a metà fra il clown horror e il serial killer psicopatico, per cavalcare le ansie e le paure di questo millennio, fregandosene bellamente di una certa fetta di pubblico a cui, probabilmente, non piacerà mai.

Detto ciò, “Heaven Upside Down” è un disco puramente hard rock, frutto maturo di un lavoro che viene da molto lontano e che ha visto Manson nel corso degli anni coniugare i suoi eccessi musicali industrial degli esordi con una certa ricerca della melodicità delle canzoni in modo tale che fossero un goccio più digeribili, al netto delle urla, della voce roca e degli effetti, come mostra la prima canzone “Revelation 12“, la prima delle dieci che compongono il disco e che richiama di “Portrait of an american damily” del 1994. Il secondo pezzo, “Tattooed in reverse“, invece richiama molto da vicino “The Dope Show” con la sua melodia molto catchy e irregolare e la voce di Warner, così particolare quando non si mette ad urlare.

Marilyn Manson Heaven Upside Down 2017
Marilyn Manson – “Heaven upside down” – Cover

I toni urlati tornano invece con “WE KNOW WHERE YOU FUCKING LIVE” (scritto così tutto in maiuscolo), brano dove cori, chitarre distorte anni ’90 e atmosfere cupe si fondono in un tutt’uno di difficile interpretazione. Subito dopo troviamo il “solito” Manson che ama giocare con la morale americana e tentare di shockare i benpensanti con “Say10” (che nella canzone si legge “Satan”, come dice lui chiaramente nel ritornello) con tanto di chiaroscuri infernali di corollario. Una canzone perfetta per le vostre prossime feste di Halloween.

Dopo la transitoria “KILL4ME” che suona come la richiesta ad un amante di un patto di sangue abbiamo “Saturnalia“, il pezzo più importante del disco secondo Manson. La canzone è stata scritta verso la fine del disco e risente forse in qualche modo della morte del padre del cantante ma molto più probabilmente invece è influenzata dalla serie televisiva “Salem” di cui Bates è autore della colonna sonora e che vede Manson recitare la parte del cattivissimo sociopatico Thomas Dinley. La canzone è seguita da “JE$U$ CRI$I$” che come per il precedente si trova in questa atmosfera così particolare e che punta dritto al sodo: “Scrivo canzoni per lottare e fottere, se non vuoi lottare io ti fotto“.

Blood Honey” è il pezzo più calmo del disco ma non per questo è meno viscerale o inquietante degli altri, vista la sua struttura così esplosiva, così incessante, così montante fino al climax finale: finalmente c’è la title-track, e insieme alla successiva “Threats of romance” in questa parte del disco c’è un Manson più legato al rock tradizionale e che è più piacevole all’ascolto mainstream e che chiude questo disco tra le sua urla.

Cosa rimane alla fine di questo “Heaven upside down“? Iniziamo dicendo che è un disco che suona davvero bene per essere stato fatto da un rocker di 48 anni. Proseguiamo dicendo che è l’album di un artista che ha deciso di puntare molto della sua carriera sull’impatto sonoro e sullo stile industrial-metal che lo ha reso celebre mantenendo intatta la sua capacità di assordare l’ascoltatore. Concludiamo dicendo che l’impatto emotivo delle canzoni di Marilyn Manson è andato ormai diluendosi nel tempo e Warner ormai occupa un posto nostalgico e curioso tra i rocker in attività. Viene da ascoltarlo quasi solo per sapere come andrà a finire dopo il prossimo disco, in una sorta di reality show gotico-musicale dove canta come al solito di religione, sesso, bigottismo, violenza e morte. Nel 2017, con le nuove generazioni ormai completamente anestetizzate al dolore e alla tragedia, solo i nostalgici possono capire il valore di questo artista. E cliccare “mi piace” sotto le sue canzoni quando vengono condivise sui social networks.

Signor Giudice, io ho finito.

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