Il disco d’esordio di Luca Loizzi, dal titolo omonimo, è uno di quei dischi che fa bene ascoltare. Fa bene perchè il giovane cantautore italiano, emigrato da Milano alla Puglia, riesce a coniugare la tradizione cantautorale italiana con vari stili (jazz, folk, blues) con una padronanza da musicista consumato e creando alla fine un prodotto musicale validissimo.
Il disco di Loizzi, arrangiato da Nico Acquaviva e prodotto, registrato e mixato da Beppe Massara negli Studi Lavilla24 di Bisceglie, vede la collaborazione di musicisti eccellenti, come Alessio Campanozzi al contrabbasso e al basso elettrico, Walter Forestiere alla batteria e alle percussioni, Adriano Sofo al mandolino e al banjo, Giuliano Di Cesare alla tromba, Pippi Chitano ai tamburi e Franco Cirillo al sax.
Tanti musicisti per un esordio davvero fenomenale, a mio parere: il disco si apre con il brano scelto come singolo, “Quando meno te lo aspetti“, un brano dalla forte impronta folk e che ti trovi subito a canticchiare, seguendo un testo tutt’altro che banale che incontra la canzone d’autore e le tematiche della vita di tutti i giorni.
Il secondo brano “Tutti quelli“, in pieno stile anni ’30, richiama in qualche modo Fred Buscaglione e denuncia senza usare mezzi termini le ingiustizie e le ipocrisie della società odierna. Con il terzo brano del disco, “Che fastidio“, si vira inaspettatamente verso il funky e verso le sonorità alla Carlos Santana per un brano che denuncia le cose di tutti i giorni che danno decisamente fastidio (“Sono stanco e depresso perchè già so che per domani è lo stesso“).
Con “Via Ripamonti” il disco ha un altro cambio di passo con un testo che sa di nostalgia e tristezza alla Ruggeri e con una musica a metà tra Daniele Silvestri e Vinicio Capossela e con un finale spiazzante e minimale. “Taglio di corda” sembra più che più uno sfogo, un qualcosa di non perfettamente riuscito, e per questo forse è il punto debole di un disco altrimenti perfetto.
“Pillole” affonda le sua radici nella migliore musica cantautorale italiana, grazie alla fisarmonica e al testo, che pesca nel repertorio di Gaber e Jannacci. Il brano “Di notte” richiama ad atmosfere cupe e tristi, mescolando con sapienza i La Crus degli esordi e la malinconia della musica italiana, mentre con “Il pazzo” sembra di stare a teatro ed ascoltare Gaber oppure Marcorè parlare di una classica storia italiana, facendosi trascinare dal ritmo finale nella logica pazzia del personaggio descritto. Il disco si chiude con “Milano“, una ballad a confine tra il jazz e il blues che parla di una giornata milanese di tutti i giorni e di cui il testo è di Francesco Fiorentino.
Che dire… davvero un gran bel disco, molto piacevole da ascoltare sia per le contaminazioni musicali molto piacevole sia per la capacità compositiva e lirica di Loizzi, mai banale e che sa mescolare il linguaggio “classico” della musica cantautorale italiana con lo slang e le nuove parole di un italiano che descrive in modo impietoso il mondo in cui viviamo, con i suoi tanti vizi e le sue poche virtù che compaiono “quando meno te lo aspetti”.
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