Lenny Kravitz: Black and White America. La recensione

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Lenny Kravitz ha pubblicato il 29 Agosto scorso il suo nono album in studio: “Black and White America”. Sedici pezzi che Kravitz presenterà assieme ai suoi maggiori successi nel corso di un tour mondiale che lo porterà  a  toccare anche il nostro paese con due date: quella del 20 novembre al Palaverde di Treviso e quella del giorno successivo a Milano. Già al primo ascolto l’album rispecchia in pieno l’immagine delineata dallo stesso Kravitz  attraverso le numerose interviste rilasciate prima della pubblicazione: “Musicalmente e concettualmente si tratta dal disco più innovativo di tutta la mia carriera. In perfetto equilibrio tra ciò che sono stato, ciò che sono e ciò che sarò”- diceva Lenny ed ascoltando le tracce di “Black and White America”in effetti la sensazione è quella di un album che non segue un unico filo conduttore, ma di un lavoro variegato che esplora le diverse anime della musica, spaziando dal pop al soul, dal rock al funk, cosa che del resto riesce molto bene ad un cantante che in oltre 20 anni di carriera ha saputo imporre uno stile personale fatto di riff di chitarra e ballad.

lenny kravitz black white america
Lenny Kravitz - Black and White America - artwork

La title track si apre con un pieno di  atmosfere retrò impreziosite da cori, bassi e fiati: il pezzo scorre e coinvolge ricordando che l’America  piaccia o meno è il paese dei contrasti e delle possibilità al tempo stesso. Il paese di Martin Luther King e Obama, quello che è riuscito (?) a superare i contrasti: questo canta Kravitz nella prima traccia dell’album. Con “Come on get it”, pezzo già rilasciato a Febbraio nell’ambito di uno spot promozionale del NBA, si da spazio al rock: assolutamente da inserire tra i migliori dell’intero album. Seguono “In the black” e “Liquid Jesus“, quest’ultima cantata interamente in falsetto dopo le quali arriva un altro brano da promuovere, “Rock Star city Life“: la quinta traccia spicca tra le altre ed ha un ritornello che crediamo non tarderà ad imporsi all’ascolto. Si arriva così al sesto brano, quel  “Boongie Drop” cantato con Jay Z  e DJ Military che è  una parentesi lontana dallo  stile Kravitz della quale non sentivamo il bisogno! Non promuoviamo tra le migliori dell’album neanche “Sunflower“, altra  traccia per la quale Lenny si è valso di un’altra collaborazione, quella di Drake. Per fortuna subito dopo c’è “Stand“, già uscito come singolo, è il pezzo più fresco e positivo dell’intero disco. Fresco com’è il videoclip che l’accompagna e nel quale con molta ironia Kravitz gioca rimandando agli anni Settanta. “Super Love”  è un ritorno alle atmosfere  anni Settanta  che non ci dispiace così come “Everithing” comincia forte e la carica è massima con l’ormai immancabile e tipico riff di chitarra nella parte conclusiva. A questo punto si incontrano la grintosa “I cant’be whitout you” e tre ballad: la rilassante  “Looking back on love“, poco più in la “The faith of a child” un brano delicato con una parte recitata molto intensa e “Dream”, pezzo  struggente in cui spicca  la sezione d’archi e Lenny tocca le corde dei sentimenti con una ballad lenta che inizia a voce appena sussurata accompagnata dal solo pianoforte. Tra questi brani i ritmi sincopati e funky di “Life Ain’t Ever Been Better Than It Is Now”. Conclude  “Push” ispirato e arricchito dal soul: il lungo assolo nella parte finale di Push conferma le impressioni più che positive sul nuovo lavoro di Lenny Kravitz. Ascoltando Black and White in America insomma, si riconosce forte l’impronta di un artista che nel tempo è riuscito a mantenere uno standard molto alto nei suoi lavori.

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