Lacuna Coil: “Delirium”. La recensione

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Da pochi giorni è disponibile in tutto il mondo l’ottavo ed attesissimo nuovo album dei Lacuna CoilDelirium“, prodotto da Marco “Maki” Coti-Zelati, da Marco Barusso (engineer, mix) e dalla band stessa, realizzato al BRX Studio di Milano tra il dicembre 2015 e il febbraio 2016 e inciso su etichetta Century Media/Sony Music.

La band ha presentato il disco con queste parole: “Delirium parla degli orrori che dobbiamo affrontare nella vita di tutti i giorni esplorando l’ignoto e infine – speriamo – trovando la cura giusta.” Il gruppo per trarre l’esperienze per i testi e per le musiche ha visitato alcuni manicomi abbandonati per cercare di capire cosa si poteva provare in luoghi del genere e per mettere quelle sensazioni in forma di nota e di parole legandole ai vizi moderni di una società tecnologica e arida che si nutre di alcune inconscie deviazioni mentali e che è vittima sempre più di malesseri moderni come ansia, panico e inadeguatezza.

I Lacuna Coil hanno vissuto anche una fase di rivoluzione interna: dopo anni di militanza musicale comune il chitarrista Cristiano “Pizza” Migliore, il batterista Cristiano “Criz” Mozzati e il chitarrista Marco Emanuele “Maus” Biazzi detto “Maus” hanno lasciato la band, “costringendo” così la band a dover chiedere l’aiuto ad alcuni amici come il chitarrista Mark Vollelunga dei Nothing More (che ha aggiunto un assolo a “Blood, Tears, Dust”) e il chitarrista Myles Kennedy degli Alter Bridge (che ha creato un assolo per “Downfall”). Questo ha contribuito a creare un’atmosfera generale del disco diversa dal solito e dai precedenti lavori.

Questo nuovo capitolo della band, composta da Cristina Scabbia (voce), Andrea Ferro (voce), Marco “Maki” Coti-Zelati (chitarra, basso,tastiere e sintetizzatori) e Ryan Blake Folden (batteria), con l’aiuto del chitarrista Diego Cavallotti, è composto da undici canzoni per 45 minuti di musica e si apre con “The house of shame“, primo singolo scelto per la promozione del disco, e subito si capisce che i Lacuna Coil sono tornati ad un suono più primigenio e appartenente ai loro esordi musicali (“In a reverie”, per esempio), un sound quindi marcatamente heavy metal e growl lasciando da parte alcuni aspetti troppo melodici degli ultimi dischi e immergendoci in una atmosfera particolare, una sorta di diario oscuro di un viaggio verso le paure degli uomini dove ogni tanto appare uno sprazzo di luce. “Broken things” non fa altro che certificare questa sensazione, questa contrapposizione tra luce e buoi come le voci di Cristina e di Andrea, senza rinunciare alla melodia ma rimarcando potentemente la scelta di fare un disco molto heavy metal e dalla registrazione “sporca”, senza correzioni in post-produzione.

Lacuna Coil cover Delirium
Lacuna Coil – “Delirium” – Cover

Delirium“, oltre ad essere la title-track, è il secondo singolo scelto per la promozione del disco ed è forse una delle canzoni più suggestive del disco, con la voce di Ferro che per una volta tanto non urla e lascia che sia la voce di Cristina ad alzarsi e dipanarsi al di sopra del muro sonoro delle chitarre. “Blood, Tears, Dust” e “Downfall” sono le due canzoni che ospitano i due chitarristi Mark Vollelunga e Myles Kennedy: nella prima dopo il bridge centrale c’è un curioso intermezzo melodico elettronico che cambia la natura della canzone fino alla fine (rendendola migliore, tra l’altro) mentre la seconda ha un impianto musicale più vicino allo shoegaze, pur rimanendo sempre metal, e un ritmo rallentato che ben si accosta alla voce della Scabbia che risalta potentemente.

Può mancare in un disco di metal una canzone con un coro di bambini? Certo che no, e “Take me home” non sfugge a questa legge di mercato, per quella che è forse la canzone più “debole” del disco, senza infamia e senza lode. “You love me ‘cause I hate you” cambia registro e trae spunto dalla Sindrome di Stoccolma per parlare di quelle relazioni malsane da cui non riusciamo in nessun modo ad uscire anche se ci fanno male addirittura fisico. “Ghost in the Mist” è il terzo singolo scelto come promozione del disco e anche questa canzone affronta una paranoia moderna, quella del sentirsi inadatto e di sentirsi quasi un estraneo nella propria vita che scorre senza nessun cambiamento, quasi inerme.

My demons” è uno dei pezzi migliori del disco e mostra appieno questa dicotomia nel disco, questo lasciare intravedere scorci di luce in un luogo buio e pieno di presenze negative: “Claustrophobia” mantiene alto lo standard sia a livello musicale che a livello di testi (“Claustrophobic hate/Starts a chain reaction/If it doesn’t kill you/It will shape your life” “L’odio claustrofobico/fa nascere una reazione a catena/ se non ti uccide/modellerà la tua vita”) mentre “Ultima ratio” conclude questo nostro viaggio virtuale all’interno del manicomio targato Lacuna Coil.

Delirium” è una sorta di ritorno alle origini per i Lacuna Coil: la band in alcune interviste aveva dichiarato che in modo naturale si era trovata a suonare in maniera più pesante e che voleva andare contro chi si aspettava “il classico disco alla Lacuna Coil“, optando per una soluzione di registrazione più sporca ma più reale. Il prodotto finale di queste elucubrazioni è un disco volutamente in chiaroscuro, molto duro ma non per questo difficile da ascoltare, grazie al sapiente mix tra il growl di Ferro e la voce più melodica di Scabbia: molte canzoni si lasciano piacevolmente ascoltare (“My demons” e “The house of shame” su tutte) e non è del tutto esente da influenze esterne moderne (“Broken things” ricorda moltissimo i Bring Me The Horizon) ma il trademark è quello giusto. La ricerca nei testi è molto precisa ed orientata ad un dualismo luce-ombra, paura-liberazione, paranoia-fiducia, in un viaggio affascinante nella psiche umana e nelle sue mille gabbie, imposte o autoimposte, che rendono questa vita difficile da affrontare. E’ come entrare in un labirinto di cui non possediamo la mappa: non sempre si è sicuri di trovare la via di fuga e uscirne ma è un cammino che dobbiamo affrontare. Per concludere, un buon ritorno sulle scene per la metal band italiana che si dimostra sempre più internazionale e aperta a nuovi palcoscenici purtroppo lontano da casa.

 

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