Il terzo appuntamento della nostra rubrica settimanale ci vede andare in Inghilterra, la patria del brit-pop e della dance, per osservare meglio da vicino un gruppo che ha costruito un proprio particolarissimo percorso musicale che li ha portati al successo ma anche all’ostracismo da parte delle case discografiche e allo scioglimento. Signori, tanto di cappello, stasera vanno di scena i Talk Talk. I Talk Talk sono un gruppo musicale britannico (esponente del genere Synthpop, New Wave e New Romantic) fondato a Londra nel 1981 dalle ceneri dei Reaction, un duo punk composto da Mark Hollis e da suo fratello Ed Hollis: grazie all’unione con il bassista Paul Webb e il batterista Lee Harris a la sostituzione del fratello di Hollis con il tastierista Simon Brenner il progetto “Talk Talk” prende il via. Dopo il debutto con alcuni demo prodotti dalla Island Records, i Talk Talk ottengono un contratto con la EMI, etichetta discografica per la quale realizzano nel 1982 il primo album “The Party’s Over“, prodotto da Colin Thurston, già produttore dei Duran Duran, gruppo del quale nel 1982 i Talk Talk aprono i concerti durante il tour britannico. I singoli estratti dal disco, “Today” e “Talk Talk”, dominati da tastiere e sintetizzatori, non fanno riscuotere all’album un grande successo negli Stati Uniti (posizione numero 132 nella classifica Billboard) mentre il singolo “Talk Talk” raggiunge solo la 75esima posizione. Appena dopo l’uscita del disco, sia Brenner che il produttore Thurston abbandonano il progetto e portano il gruppo ad essere essenzialmente un trio a cui si aggiungerà poi un quarto componente, Tim Friese-Greene, produttore, tastierista e compositore. Il 1984 vede la pubblicazione del loro secondo album, “It’s My Life“, scritto l’anno prima. I singoli “It’s My Life” e “Such a Shame” (ispirato al libro The Dice Man di Luke Rhinehart) non riscuotono un gran successo in Inghilterra ma spopolano in America e in Europa. Il gruppo ne approfitta per ricreare anche la sua immagine grazie ai video di Tim Pope e alle copertine disegnate da James Marsh e parte per una lunga tournee ritrovandosi in studio solo nel 1985: un lavoro lungo un anno porterà alla pubblicazione di “The Colour of Spring“, il loro terzo album, un disco a cavallo tra il pop elettronico degli esordi e il rock-jazz che caratterizzerà i lavori successivi. Il disco vede la collaborazione di nomi prestigiosi come Steve Winwood all’organo, David Rhodes alla chitarra e Morris Pert alle percussioni e risulterà poi l’album in studio più venduto del gruppo, raggiungendo la Top10 in numerosi stati, promosso da un grosso tour finanziato dalla EMI e trainato da singoli famosissimi come “Living in Another World” e “Life’s What You Make It“: la band inglese arriva anche ad esibirsi come ospite al Festival di Sanremo 1986. In questo album, in pezzi come “April 5th” e “Chameleon Day“, si può notare già la contaminazione jazz, anche grazie ad un cantato da parte di Hollis crepuscolare, da crooner estemporaneo, un modo di cantare totalmente estraneo agli stilemi dell’epoca. L’anno dopo, il 1987, il gruppo torna al lavoro per l’incisione del suo quarto album e Hollis comunica alla EMI l’intenzione di voler pubblicare il disco senza alcuna promozione nè tantomeno promuovendolo con concerti dal vivo. Il disco, intitolato “Spirit of Eden” ottiene un successo commerciale solo tiepido, nonostante i consensi da parte della critica che aveva ben accolto il disco e le sue canzoni lunghe ed orientate verso il genere jazz. Scontenta dei risultati di vendita, la EMI ritocca appositamente una delle tracce del disco, “I Believe in You“, creandone una versione maggiormente pop e più radiofonica, ma operando all’insaputa e contro il volere del gruppo: il singolo non ottiene grande successo e il gruppo cita in giudizio la EMI, che fa altrettanto con il complesso poiché, a suo dire, non aveva rispettato i termini del contratto. Il rapporto tra il gruppo e l’etichetta si deteriora portando alla cessazione del contratto: l’etichetta ha giusto il tempo di pubblicare nel 1990 il primo Greatest Hits del gruppo, “Natural History – The Very Best of“, che per ironia della sorte è l’album dei Talk Talk di maggior successo commerciale in Regno Unito dove raggiunge la terza posizione in classifica. I Talk Talk successivamente firmano un contratto con la Polydor ma nello stesso periodo Webb abbandona la formazione, lasciando registrare a Hollis, Harris e Friese-Greene il quinto disco, “Laughing Stock“, pubblicato nel 1991, album che segna il definitivo passaggio del gruppo al genere post-rock, ma che non ottiene un grandissimo successo e che porta il gruppo allo scioglimento nel 1992. Dopo lo scioglimento dei Talk Talk, Harris e Webb si riuniscono dando vita a un altro gruppo musicale, gli ‘O’Rang, mentre Mark Hollis, dopo alcuni anni di silenzio, ha prodotto nel 1998 un album omonimo col quale ha proseguito la sua carriera, per poi ritirarsi definitivamente dal mondo della musica. Friese-Greene ha continuato invece a produrre con lo pseudonimo di Heligoland, perennemente legato alla sperimentazione.