MelodicaMente ha avuto il piacere di scambiare alcune considerazioni con La Cricca, band che nasce quattro anni fa da quattro persone che vivono di musica. Un gruppo affiatato che vede Lallo al basso e Paolo alla batteria essere i veterani del progetto in quanto suonano insieme dal 1998. Successivamente, proprio per creare qualcosa di nuovo, entrò in scena Andrea come voce del gruppo e, dopo molte ricerche, Ruben alla chitarra. Dopo tanta “gavetta” come cover band nei locali dove La Cricca riscuote un notevole successo e l’amicizia fra i componenti si fa sempre più forte, il momento della svolta si ha grazie a Marco Cerutti che ha deciso d’investire nel gruppo e così è nato “In Qualche Modo”, oggetto della nostra intervista con La Cricca.
Le canzoni della formazione vengono da loro stessi definite come storie vere che nascono dalle strade di periferia, da lunghi viaggi in auto, dalla vita di ogni giorno. Canzoni che raggiungono immediatamente il cuore o lo stomaco, sostenute da un suono energico e genuino. Il loro primo album “In qualche modo” è proprio un concentrato d’emozioni dove non vi è ipocrisia ma tanta nuda sincerità. Dieci canzoni che dipingono l’umanità. Ecco cosa La Cricca ha raccontato a MelodicaMente.
1. Iniziamo subito a parlare della vostra nascita: inizialmente eravate una cover band fino alla svolta data da Marco Cerutti che ha deciso d’investire nel vostro progetto. Raccontateci questo cambiamento.
In realtà suoniamo ancora come cover band, perché viviamo di musica e La Cricca attualmente non ci dà da vivere. È proprio attraverso quest’attività che abbiamo fatto la conoscenza di Marco Cerutti che è il proprietario del live club Pala Phenomenon. Ci ha ingaggiati per anni per suonare nel suo locale e mosso da un grande interesse per il sound della band, ha proposto la realizzazione di un album, che si concretizza oggi con IN QUALCHE MODO.
2. Il vostro disco “In qualche modo” ha un titolo che sta a significare che, fra mille peripezie, questo disco ha visto la luce e La Cricca ha superato i numerosi impedimenti verso l’obiettivo della pubblicazione dell’album. Ci parlate di quali sono state le difficoltà che avete incontrato e cosa vuol dire pubblicare un album al giorno d’oggi?
Fare dischi oggi, citando Mogol, è un atto eroico, il classico “bagno di sangue”. Questo a dire che, nella maggior parte dei casi, sono soldi persi, ma fortunatamente c’è ancora chi considera una passione qualcosa senza prezzo. Tornando ai vari intralci che hanno dato il titolo a questo disco, si potrebbe cominciare dalla necessità di sciogliere il contratto di Andrea (voce) dalla precedente etichetta discografica, per poi passare alle varie fasi di scrittura e registrazione minate dagli “ingombranti” impegni dei componenti della band.
3. Il vostro disco è stato definito come “cinico, vitale, rancoroso e a tratti volutamente volgare”. E’ curioso notare questo volutamente, cosa intendevate dire specificando chiaramente questa accezione del termine?
La volgarità voluta e in qualche caso ostentata nasce dalla voglia di usare un linguaggio comunemente parlato, caratteristica associabile normalmente alla musica rap, e alla continua provocazione che si percepisce ascoltando l’album, questo ci piace molto. Il linguaggio diventa così un mezzo per fare una sorta di scrematura degli ascoltatori, non tutti sono disposti ad accettarlo e ci permette di cercare un pubblico affine ai contenuti ed al carattere del progetto.
4. In mezzo ad una miriade di brani ne avete scelti dieci che compongono “In qualche modo”. Quali sono state le strategie che vi hanno portato a scartare determinate canzoni per preferirne altre?
La selezione dei brani è stata veicolata dalla necessità che l’album avesse un sapore omogeneo, sia da un punto di vista musicale sia per quanto riguarda il modo di affrontare certi temi. C’erano ovviamente e fortunatamente molti altri pezzi ma, passandoli al setaccio, sono rimasti quelli che ora fanno parte dell’album.
5. In un vostro brano “La suoneria” vi calate nei panni di un giovane ragazzo che in qualche modo preferisce il proprio telefono ad un rapporto vero con le persone. E’ un’accusa alla tendenza moderna di stare continuamente davanti al pc o con il telefono in mano?
Non c’è assolutamente accusa in quello che scriviamo ma analisi del mondo che ci circonda, anche perché, siamo noi stessi “vittime” delle cose di cui parliamo nel brano. Forse è un modo per esorcizzare e quindi minimizzare le nostre tendenze, spesso autodistruttive. Insomma, siamo i meno adatti a giudicare ma troviamo interessante metterci nelle scarpe di un altro.
6. Mischiate cinismo, ironia a sentimenti e storie di vita vissuta, se doveste definire quali sono le tematiche che vi contraddistinguono e come esse nascono nella vostra mente, cosa ci raccontereste?
Di solito il tema di una canzone nasce da un’intuizione e spesso quest’intuizione è il riflesso di qualcosa che vivi davvero. Noi parliamo di umanità, e spesso dei suoi lati peggiori, senza censurare i pensieri più scomodi che nascono anche dall’aggressività, dal rancore, dall’indolenza e via dicendo. Nonostante tutto questo c’è una grande vitalità di fondo, una sorta di continua reazione a quello che ci succede.
7. Passiamo invece al lato musicale: definirvi in un solo genere è tutt’altro che facile ma, probabilmente, il vostro intento è proprio quello di non essere etichettati e liquidati con poche parole. Immaginate di descrivervi a persone che non vi hanno mai ascoltato e dovete convincerli che la vostra musica merita una possibilità, cosa direste loro?
Forse diremmo loro che se hanno voglia di ascoltare qualcosa ad alto volume o ad alta velocità questo è il disco giusto. Diremmo che se hanno l’esigenza di sentire una canzone che trovi le parole per il loro rancore questo è il disco giusto. Diremmo loro che se in qualche misura si sentono sbagliati questo è il disco giusto.
8. Domanda conclusiva che riguarda i vostri progetti futuri: come vi immaginate e cosa sognate per La Cricca?
Ci immaginiamo il miglior futuro possibile, senza però avere aspettative consistenti. I fattori che determinano un successo sono troppi, per questo camminiamo con i piedi di cemento armato. In qualunque caso sappiamo di aver fatto un lavoro onesto con noi stessi, che è già di per sé un successo.