La famiglia Followill, composta da Caleb (chitarra/voce), Nathan (batteria), Jared (basso) e Matthew (chitarra) e meglio conosciuta come i Kings Of Leon, una rock band multi-platino, ha pubblicato il suo settimo album in studio “WALLS”, a tre anni di distanza dal precedente “Mechanical bull” che si è guadagnato una nomination ai Grammy Awards.
Il gruppo dei Followill si è fatto ritrarre sulla copertina del disco con i propri volti in versione bambole di cera (opera dell’artista russo Michael Zajkov) e ha registrato questo disco a Los Angeles sotto le amorevoli cure del produttore Markus Dravs (già con Arcade Fire, Coldplay e Florence and the Machine): tutto ciò segna un ritorno al passato, a casa, e non possono essere da meno i testi del nuovo album, che raccontano le storie personali dei quattro Followill che dopo aver venduto oltre 18 milioni di album e oltre 24 milioni di singoli su scala globale hanno deciso di tornare al passato.
Probabilmente questo era un passaggio dovuto per la band del Tennessee che ha saputo nel corso degli anni evolvere dal suo garage-rock delle origini e trasformarsi in un gruppo trasmesso dalle radio di tutto il mondo grazie alla formula antica ma sempre efficace di un gruppo dove suonano due chitarre, un basso e una batteria. I KoL sono sopravvissuti meglio di altre band (National, Arcade Fire e St. Vincent) alla conquista della fama per un gruppo di ragazzotti tutti valori del Sud America e chiesa che è riuscito a cambiare pelle nel corso degli anni e ad avvicinarsi ai gusti di un audience sempre più grande. Il punto è che però nel momento della transizione il gruppo ha perso parte della scintillante originalità iniziale per rimpiazzarla con piccole dosi di indie rock e mainstream: se agli ascoltatori va bene…
Parliamo del disco: “WALLS” è stato sbandierato come un ritorno alle origini, e almeno dal punto di vista lirico ci siamo in pieno, visto che i testi riflettono quelle che sono tutte le sensazioni che la famiglia Followill ha vissuto in questi anni in cui vendeva l’anima al diavolo del rock e fin qui nulla quaestio. Una delle clausole comprese nel contratto citava anche il cambiare stile musicale, forse, almeno ad ascoltare “Around the world” ed altri brani come “Reverend” e il singolo “Waste a moment” che mostrano come sia facile continuare a suonare in un determinato modo per rendersi riconoscibili come una locandina in una cinema, grazie alla qualità dei cori e al suono delle chitarre. La voce di Caleb poi è un incredibile marchio di fabbrica e rende etichettabile come KoL tutte le canzoni del disco che in quanto a presa non hanno assolutamente nulla da invidiare a quelle di tante altre band che ci sono al momento in circolazione.
Però… c’è un però in tutta questa storia. Basta andare un attimo su Youtube, digitare Kings of Leon e due tra le prime canzoni che compaiono sono “Sex on Fire” e “Use somebody“: basta ascoltarle un secondo per capire quanto siamo lontanissimi da brani contenuti in questo disco come “Eyes on you“, “Find me” e “Over“. È come se la banda Followill si fosse quasi stancata di essere se stessa e abbia deciso di adagiarsi alla mediocrità imperante nel mondo musicale odierno senza tentare più un volo pindarico che sia uno. Tutti questi pezzi sono come le tracce lasciate da Pollicino per cercare di capire dove i “veri” Kings of Leon si siano rifugiati in questi ultimi otto anni. E pezzi come “Conversation piece” e “Wild” non fanno altro che avvalorare questa tesi. Forse si salva parzialmente la title-track, “WALLS“, grazie al suo essere lenta e sembrare un attimo più ragionata (il pianoforte fa tanto in certi casi).
Incredibilmente l’unica canzone davvero particolare del disco è quella che sembra più fuori luogo, “Muchacho“, un pezzo davvero dal gusto di whiskey e saloon dove la voce di Caleb Followill si fa pesante e gravosa: nel mentre la ascolti ti chiedi da dove diamine l’abbiano tirata fuori e se ce ne sono altre da far venire alla luce da quel luogo. Anzi, non è che te lo chiedi, ci speri fortemente, perchè finalmente senti i KoL tornare di nuovo “sporchi”, ruvidi, non così lucidati e vestiti a festa, in una parola veri. Questo disco è stato per me un brusco risveglio, come fermarsi durante una tappa di un viaggio molto lungo, controllare i biglietti e le prenotazioni fatte finora e chiedersi in un solo lunghissimo istante quanta strada si è percorsa fin’ora e soprattutto dove la stessa ti ha portato alla fine.
Il nuovo disco dei Kings of Leon si chiama “WALLS“, acronimo di “We Are Like Love Songs“, “Noi siamo come canzoni d’amore”: in questo caso qualche muro è stato coperto con della carta da parati mediocre per coprire le crepe e qualche traccia di muffa.