La cura nel concepire un genere musicale preciso di solito non cammina di pari passo con l’esigenza della band di colonizzare tutti gli ascolti finendo addirittura in radio. Giovani e acerbi musicisti i primi Kings Of Leon di “Aha Shake Heartbreak” e “Youth and Young Manhood” mostravano una passione sfrenata per il rock e per il southern rock. Dopo aver subito una metamorfosi estetica ma soprattutto musicale volgendo i loro sguardi ad un ammorbidito indie rock è stato “Only By The Night” a presentarli ad un pubblico più ampio, privandoli di quella genuinità musicale che tanto ce li aveva fatto amare. Riconferma “popolare” arriva con “Come around Sundown” album con cui hanno colonizzato la rotazione radiofonica e accompagnato i movimenti in tv con “Pyro“. “Mechanical Bull” arriva a soddisfare le esigenze di un pubblico ormai appassionato alla loro popolarità, ma anche a non lasciare l’amaro in bocca a chi, già a partire dal 2003 aveva riposto in loro tanta fiducia. “Supersoaker” grande brano d’esordio, grande singolo, ma soprattutto grande energia, grande brio e un ritmo incessante che ci apre la strada ad un disco pensato fino all’ultimo secondo musicale. L’usanza vuole che un singolo di così grande impatto riservi spiacevoli sorprese, soprattutto se un album come “Mechanical Bull” arriva a sbancare tutto o a distruggere qualsiasi cosa, ma nel nostro caso non è stato così, basta ascoltare già la seconda traccia “Rock City“.
Fila liscio come l’olio, si alterna tra momenti ritmati alla grande e dichiarazioni intime e romantiche, e la sensuale voce roca complice di tale intimità è diventata un marchio di fabbrica ormai di una ricca discografia. Non manca nulla: ballate tranquille come “Beautiful War“, sonate acustiche, momenti decisamente rock come “Don’t Matter” e brani che fatto battere la testa ripetutamente, “Mechanical Bull” sembra essere proprio completo, e come più volte i componenti della band hanno confessato, sembra essere proprio arrivato ciò che aspettavamo: l’album maturo, pacato, l’album perfetto e tranquillo ma anche sofisticato al punto giusto e senza pretese. Non hanno bisogno di accordi accattivanti o chissà quale manovra di marketing, i Kings Of Leon non hanno grilli per la testa, e quel successo che li aveva inondati tra il 2009 e il 2010, attualmente sembra solo una parentesi necessaria e non influente su di un percorso musicale tra i più interessanti degli ultimi anni.
I brani scorrono via veloci, e tra un’incalzante percussione e un canto trascinato s’inserisce una parentesi strumentale quasi sdolcinata. Schemi musicali semplici, melodie piacevoli ma accattivanti allo stesso tempo che riescono a rompere le regole del rock diventando addirittura romantici in “Come Back” dove a sorpresa appaiono degli archi. Sarà mica arrivato un degno concorrente di un intero anno di celebri uscite discografiche? Non sarà di certo il disco del 2013, ma i Kings Of Leon per questa volta hanno fatto un gran bel lavoro, e sembrano essere sulla giusta strada per aggiudicarsi qualche posto in prima fila. Degno apripista di un autunno fatto di grandi uscite per il rock d’oltreoceano “Mechanical Bull“, sesto album dei Kings Of Leon viene promosso a pieni voti.