Justin Timberlake: “The 20/20 Experience 2 of 2”. La recensione

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Cover "The 20/20 Experience 2 of 2" (Standard Edition) Justin Timberlake

Ottobre 2013 si è aperto in grande stile: il 1° di questo mese è stato pubblicato “The 20/20 Experience 2 of 2”, nuovo album che Justin Timberlake ha scelto di inserire in un progetto più ampio e complesso. Quasi sette mesi fa era stato dato alle stampe dopo sette anni di silenzio discografico “The 20/20 Experience”: questo nuovo disco si presenta fin dal proprio titolo come una continuazione, un seguito del precedente. Il continuum tra i due album non è rappresentato meramente dal nome, nei brani ricorrono medesime atmosfere, medesimi suoni, persino medesime strutture. La coerenza tra il primo e “The 20/20 Experience 2 of 2” è tale da aver portato alla pubblicazione di “The Complete Experience”, Special Edition in cui i due album, concepiti e nati come separati, pur collegati, sono riuniti in un unico disco ed un’unica tracklist.

In “The 20/20 Experience 2 of 2” Justin Timberlake spinge ancor più sull’acceleratore dell’elettronica: se già nel precedente album avevamo trovato una forte componente di synth e ritmi digitali, in questo nuovo la loro presenza diventa costante fin dai brani di apertura, dove drum’n’bass si intreccia all’r’n’b più puro, ibridandosi di atmosfere afro a tratti tribali. E’ ciò che accade in “Gimme What I Don’t Know (I Want)” e ancor più in “True Blood”, nella quale Timberlake omaggia il Re indiscusso del Pop Michael Jackson, inserendo nella traccia rumori spettrali e la inconfondibile risata malefica di “Thriller”.

Con “Cabaret” Justin e “The 20/20 Experience 2 of 2” sembrano prendersi una pausa da questi suoni così cupi, per gettarsi a capofitto nell’essenza del soul e dell’r’n’b, con un pianoforte ed un climax che, esclusa la parentesi rappata da Drake, sembrano accarezzare il sound di John Legend. Affine a questo pezzo per sonorità e ritmo “TKO” (al cui testo sono stati aggiunte parti di brani di Barry White), il cui intro strumentale forma un unicuum con la coda altrettanto strumentale della precedente “Cabaret”.

Cover "The 20/20 Experience 2 of 2" (Standard Edition) Justin Timberlake
Cover “The 20/20 Experience 2 of 2” (Standard Edition) Justin Timberlake

Il recupero di stili e sonorità del passato, riproposti in chiave del terzo millennio, è l’obiettivo che Justin Timberlake sembra essersi riproposto di perseguire con i due album dell’Experience. Se se ne ha percezione più o meno evidente nelle varie tracce di questo secondo capitolo, la conferma arriva da pezzi come “Murder”, in cui il rap di Jay-z e la voce tendente al basso di Timberlake si alternano a chitarre acid rock di fine anni ’70, e “Drink You Away”, dove si rispolverano rock’n’roll nel riff di chitarra iniziale, tastiere da psychedelic rock, organo gospel nel finale e batteria da rock degli ’80. E la prova schiacciante arriva direttamente da “Only When I Walk Away”, in cui i più attenti ascoltatori hanno potuto riconoscere suoni familiari: per questo brano è stato campionato “Lustful”, brano strumentale del 1972 firmato dal nostro Amedeo Minghi. E il risultato è una delle canzoni più coinvolgenti dell’intero album. Anche qua, contorni scuri regnano incontrastati.

Entra di diritto negli standard timberlakkiani “You Got It On”, ballad ad alto tasso di sensualità, in cui Timberlake propone tutte le sfumature della sua voce, dalle più naturali al falsetto, in un saliscendi di puro coinvolgimento emotivo. Colonna sonora perfetta per un film della seconda metà dei ’90 dal sapore vintage. La chiusura d’archi del finale la rende una delle perle di questo album.  A farle compagnia in quello che sembra un amarcord dei precedenti album  c’è “Amnesia”, che ripristina immediatamente la cupezza delle atmosfere. Anche in questo caso a dare il reale tocco di classe sono gli archi, che sostengono l’intero pezzo, ed anche in questo caso, così come accaduto anche per la quasi totalità dei brani di “The 20/20 Experience”, cambio radicale di ritmo e stile a metà della lunghezza: l’inversione di rotta fa guadagnare ad “Amnesia” un’originalità (oltre ad una certa raffinatezza) di cui fino a quel momento si sentiva la mancanza.

A proposito di cupezza, si merita di diritto un capitolo a parte “Take Back The Night”, singolo di lancio dell’intero album: questo pezzo si presenta come una nave del deserto. Assolutamente coerente con le sorelle della tracklist in quanto a stile e sonorità, l’atmosfera che crea è qualcosa di spiazzante: aria di festa, di sfera stroboscopica che pende dal soffitto e ragazzi armati di ghette che ballano appena sotto, insomma, poco a che vedere con i suoni generalmente cupi del disco. Si capisce subito per quale motivo l’hanno scelto come singolo di lancio.

Ma la traccia ancora più discrepante rispetto al resto dell’album la troviamo alla fine della tracklist: a chiudere l’album ci pensa “Not A Bad Thing”, una ballad prelevata direttamente dalla metà degli anni ’90, con tanto di chitarra acustica ad accompagnare la voce di Timberlake che improvvisamente come una Delorean musicale ci catapulta dritti tra le braccia degli ‘N Sync.

Per concludere, solitamente nelle recensioni non vengono neppure menzionate le hidden track di un album, ma per “Pair Of Wings” è il caso di fare una breve eccezione. Voce alla tonalità naturale, chitarra classica che scorre morbida e sorretta da un quartetto d’archi che spinge e rallenta sulla linea a tratti brasiliana delle sei corde. Delicata perla candida che si staglia in un abisso nero pece.

Giudizio complessivo

“The 20/20 Experience 2 of 2” si presenta omogeneo e scomposto allo stesso tempo: se da un lato troviamo un filo conduttore stilistico e di colori a collegare i brani della tracklist, dall’altro emergono elementi d’improvviso contrasto che destabilizzano l’ascoltatore, che si ritrova ad oscillare in un gioco di opposti che talvolta troppo si allontana dal suo scopo di suggestione, lasciando solamente perplessi. Un album ricco di sfaccettature, un caleidoscopio di pietre bianche e nere che tocca la sensibilità di chi ascolta. Vero è che la così forte vicinanza non tanto temporale, quanto stilistica al precedente “The 20/20 Experience” ha il forte svantaggio di rendere questo ultimo album qualcosa di già sentito, a tratti ridondante.

 

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