John Mayer: “The Search For Everything”. La recensione

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John Clayton Mayer è un cantautore e chitarrista statunitense molto famoso nell’ambito blues e rock per i suoi virtuosismi e per la sua bravura tecnica. In questi ultimi mesi è stato in tour con i Dead and Company (la band composta dai membri restanti dei Grateful Dead) e questo ha fatto sì che Mayer postponesse il lavoro sul suo nuovo disco in studio, che doveva uscire nel gennaio del 2016 e che invece è stato rimandato a quest’anno.

Il settimo disco di Mayer, “The search for everything“, è stato anticipato dalla pubblicazione di due EP, intitolati “Wave One” e “Wave Two”: il primo EP è uscito il 20 gennaio di quest’anno ed è stato anticipato dal singolo “Love on the Weekend“, il secondo EP è uscito il 24 febbraio ed è stato anticipato dal singolo “Still Feel Like Your Man” mentre il disco vero e proprio è uscito il 14 aprile in versione digitale e il 21 aprile in forma fisica. Tutte le immagini di copertina utilizzate per tutti i dischi che hanno composto “The Search of Everything” sono opera dell’artista sudcoreana Soey Milk.

Siamo distanti quattro anni da “Paradise Valley” del 2013 ma siamo distanti anni luce dalla musica di quel disco: Mayer è tornato alle sue radici, sporcando il suono e rendendolo più moderno e chitarristico, abbandonando la scelta acustica del precedente disco e tornando in grande stile e in pompa magna. Come mai questa scelta di questi tre dischi da quattro canzoni l’uno? Lo spiega lui in un’intervista a Rolling Stone: “Quest’album sarà pubblicato quattro canzoni alla volta. C’erano troppe canzoni da far ascoltare in una volta sola. Il prezzo per avere tutto questo è quattro canzoni a disco: se non vi piace, non prendete le successive quattro. Ma se avete il sentore che io stia creando qualcosa, allora prendetele e seguitemi in ogni nuova ondata.” E per fare questo si è affidato a tre musicisti di eccezione come Steve Jordan (batteria e percussioni), Pino Palladino (basso) e Larry Goldings (tastiere) mentre i produttori sono stati Chad Franscoviak e John Mayer stesso, con Chris Galland e Manny Marroquin in fase di missaggio e Greg Calbi per il mastering.

Analizziamo le ondate e partiamo dalla “Wave One“: già dalla prima canzone “Moving On and Getting Over” abbiamo il senso di quanto sia tornato il Mayer di “Neon” e “My big mouth”. Melodie blues e suoni morbidi, grande cura dei particolari, chitarre non invasive ma ficcanti e precise, siamo proprio tornati nel mondo di John e dei suoi primi dischi. Certo, non si può dimenticare il passato e una canzone come “Changing” sembra uscita dritta dritta da “Paradise valley” anche se si avverte una punta più rock, così come con “Love on the Weekend“, classica rock ballad  che scorre lenta e placida: la prima ondata si chiude con il fischiettio di “You’re Gonna Live Forever in Me”, canzone voce, piano e archi molto intimista, quasi alla Randy Newman o alla Billy Joel, come definito dalla stampa.

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John Mayer – “The search for everything” – Cover

La seconda ondata, la “Wave Two“, parte con “Still Feel Like Your Man“, pezzo assolutamente R&B che sembra quasi strappato agli anni Settanta: subito dopo troviamo un’altra ballata acustica, “Emoji of a Wave“, che rapisce con la magia semplice degli arpeggi di chitarra e della voce di Mayer e che vede Al e Matt Jardine esibirsi nei cori. Il nostro EP prende una sterzata verso il soft rock con “Helpless” e si chiude con il country rock di “Roll It on Home” molto sudista e ancorata alle tradizioni americane.

L’ultima ondata, la cosiddetta “Wave Three“, ovvero i pezzi rimanenti del disco completo, parte con una delle poche collaborazioni di tutto il disco, quella con Sheryl Crow per il brano “In The Blood” dove la cantante americana si limita a fare i cori per un pezzo molto intimista. Il disco presenta anche un brano strumentale, “Theme from ‘The Search for Everything’“, che vede la chitarra di Mayer protagonista da sola per la prima e unica volta nel disco e per un tempo relativamente piccolo (appena due minuti). Con “Never On The Day You Leave” facciamo un passo indietro e torniamo dritti dritti ai lavori di qualche anno fa, con parole e note misurate e con una visione instrospettiva della musica: per fortuna “Rosie” risolleva un pochino la situazione e si inserisce nella cronistoria dei cantautori alla Steely Dan.

The search for everything” è un disco che ha avuto una cronistoria molto particolare perché lo stesso John Mayer ha voluto testare quale esito avrebbe avuto una produzione del genere sul suo nutrito gruppo di fans: alla fine, almeno da parte mia, il risultato è in chiaroscuro. Capiamoci, non è in discussione in nessun modo la capacità musicale o chitarristica di Mayer, sempre ad altissimo livello, ma con questo disco forse si poteva osare qualcosa di più e tornare sugli standard rock che lo hanno fatto conoscere e che lo hanno reso celebre. Questo disco aveva illuso con la “Wave one” facendo credere ad un ritorno al passato ma le due successive ondate hanno mostrato come Mayer non abbia ancora abbandonato la “Paradise Valley” e anzi abbia deciso di seguire quella strada. Scelta assolutamente non sindacabile… ma peccato, perché l’album ne perde in potenza e non ne guadagna in intimismo in alcuni passaggi, diventando invece lento e prevedibile. Il giudizio è e rimane misto, anzi per dirla all’inglese, “mixed emotions”.

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