Per il nostro progetto The Passenger oggi vi presentiamo una band che ha fatto della mistura e della contaminazione il loro stile di vita e musicale, ovvero i Portugnol Connection.
La band nasce nel 2009 dall’unione di Riccardo Bergottini “Il Presidente” (chitarra ritmica e voce), Christian Carobene “Il Turco” (batteria, percussioni e voce), Claudio d’Emilio “Il Ministro” (basso e cori), Luca Telo “Euskal” (tastiere e cori), Alberto Pispero “Bebeto” (tromba e flicorno), Marco Torresan “Sensei” (chitarra solista) a cui si aggiunge in corso d’opera Federica Carobene (voce e cori). I sei musicisti, seppur provenienti da background musicali molto diversi tra di loro, scoprono ben presto una grande affinità artistica che li porta nel 2011 a registrare il loro primo EP, Patchanka inna Portugnol Connection styla dal quale vengono estratti due brani per essere inclusi nell’album “Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty” insieme ad artisti del calibro di Fiorella Mannoia, Frankie Hi-Hrg, Nicolò Fabi. Dopo un’intesa attività live che li ha portati a partecipare a numerosi festival musicali nel sud Italia, in particolare in Calabria e nel Salento, i Portugnol registrano il loro primo album,”Dans la rue“, composto ed arrangiato dalla stessa band e registrato presso il RecLab Studio da Stefano Iascone mentre il mixaggio è stato affidato a Marco Bonanomi, Stefano Iascone e Portugnol Connection.
Noi di MelodicaMente, ascoltato il disco, abbiamo deciso di intervistare la band e di dare loro il nostro spazio di The Passenger: vi assicuriamo che ne è valsa la pena.
A tu per tu con i Portugnol Connection
Voi siete nati nel 2009 e nonostante i background musicali diversi avete trovato subito un’idea comune di fare musica. Come vi siete conosciuti? Cosa vi ha spinto a intraprendere questo percorso, musicale insieme?
Ci siamo conosciuti a poco poco negli anni precedenti, nei modi più disparati e comuni, un po’come si conoscono tutte le persone. Alcuni di noi sono amici da quasi vent’anni, molto prima di pensare di formare una band insieme, altri da meno…sembrerà banale e scontato ma prima che una band siamo un gruppo di amici, perché così è sempre stato. Abbiamo aspettato a consolidare la formazione finché tutti i componenti potessero chiamarsi amici prima che “colleghi”. Nessuno di noi riuscirebbe a stare in un collettivo di musicisti senza avere un legame forte con i compagni, è un fattore che per il nostro modo di fare musica va di pari passo con la creatività, non giudichiamo chi ci riesce, buon per lui, ma non è il nostro spirito. La musica è condivisione di un pensiero, di un’idea, di un’intuizione, tra chi la fa e chi l’ascolta. E deve nascere a sua volta da una condivisione di esperienze, di idee e di concetti che devono essere credibili, oneste, “sane”! Percui è fondamentale stringere rapporti profondi se la pensi in questo modo. Per quanto riguarda il nostro genere alcuni di noi hanno sempre avuto una passione per la patchanka, il reggae, per i gruppi spagnoli di Barcellona, band latino-americane e francesi, dai Mano Negra a tutto ciò che ne è conseguito…e avremmo voluto trovare un po’di quell’attitudine anche in Italia, più di quanta ce ne sia stata, a partire dai Mau Mau, Africa Unite, Bandabardò, ecc, inoltre per mettere insieme sette personalità ben definite un “non genere” come la patchanka è stata la strada più naturale possibile.
Nel vostro primo album “Dans la rue” il concetto di viaggio è palpabile sia attraverso i testi che la scelta di diversi stili musicali che di volta in volta utilizzate per esprimervi. Come è nato questo disco?
Il disco è nato proprio sulla strada, come recita il titolo, intesa come percorso, sia fisico che soprattutto mentale. È un’istigazione a riflettere, a reagire, a conoscersi e guardarsi intorno, anche per poter valutare la realtà attraverso i propri occhi e magari un po’ meno con gli occhi dei media. Tutto questo senza dover per forza ricorrere ai massimi sistemi, è molto più interessante analizzare il piccolo mondo che ci circonda, che è già abbastanza vasto, e cercare di essere un po’ critici, specialmente verso se stessi. Crediamo sia un album molto “attuale”, vista la situazione globale che stiamo attraversando, nonostante alcuni pezzi siano stati scritti anni fa. Abbiamo scritto soprattutto in italiano perché sentivamo la necessità di avere una maggiore forza comunicativa, l’interpretazione di alcune canzoni è comunque aperta all’ascoltatore, ma è un aspetto che ci piace molto, l’importante è stimolare una riflessione. Gli arrangiamenti sono legati indissolubilmente ai testi, nascono successivamente e sono frutto delle capacità e delle influenze di ognuno di noi, e naturalmente delle sensazioni che noi per primi abbiamo nei confronti delle parole usate e del messaggio della canzone. A un ascolto distratto può sembrare anche un disco leggero e scanzonato, per i richiami a certi generi, ed è forse giusto così. Ognuno ha il diritto di trarre dalla musica ciò di cui ha bisogno, a volte può bastare chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle note, per chi ne ha voglia invece si può aprire un viaggio più interiore. Non pretendiamo di fornire alcuna risposta a nessun quesito, ci siamo più che altro posti delle domande e questo è esattamente il disco che volevamo ottenere.
Avete sempre avuto una forte propensione verso l’attività live ed anche ora avete in programma vari concerti. Cosa porterà il 2015 per i Portugnol Connection?
Sì, al di là di quanto appena detto non siamo un gruppo “pesante”, i nostri concerti sono una festa, ci teniamo alla larga da slogan puramente “politici” e da facili messaggi, la gente balla e si diverte come è giusto che sia. L’attività live è l’aspetto più importante perché ti dà immediatamente un riscontro con le persone. Joe Strummer diceva che non devi mai sentirti migliore delle persone che hai di fronte, perché senza di loro non sei nulla. Ecco, questo è un po’ lo spirito con cui saliamo sul palco, cercare di fare festa non solo “per” la gente ma “con” la gente. Chi vuole poi andare oltre e capire anche cosa abbiamo da dire ha tutto il tempo per farlo. Cosa ci aspettiamo dal 2015? Potremmo dire tante cose, dividere il palco con grandi artisti per esempio, quest’anno abbiamo aperto una data a Tonino Carotone ed è finita a tarda notte a suonare con lui in mezzo alla gente, sono queste le cose che ci danno maggior soddisfazione. O potremmo dirti di voler suonare su palchi sempre più importanti e che “Dans la rue” raggiunga più persone possibili…ma la cosa che forse speriamo maggiormente è che in Italia cambi un po’ l’atteggiamento da parte del mondo discografico verso le band indipendenti. Che si possa avere almeno una possibilità reale di dimostrare il proprio valore. Perché sono davvero tante le band che lo meriterebbero, non sappiamo se noi siamo tra queste, ma ad oggi non ci è data la possibilità di scoprirlo. Non è un discorso economico o di fama, è solo il desiderio di vedere la tua opera diventare di tutti.
Portugnol Connection – “Dans la rue”: l’ascolto
La commistione di stili caratteristica della patchanka si trova a piene mani nel disco dei Portugnol Connection “Dans la rue“: le influenze musicali dei vari componenti del gruppi trovano un loro punto di incontro e di sintesi fino a creare una miscela esplosiva e molto coinvolgente. Il disco comincia con la title-track che è stata promossa anche attraverso un video molto carino e carico di messaggio, sul fatto che se vogliamo possiamo rompere le prigioni soprattutto mentali che noi stessi costruiamo e che ci rendono infelici. Già dal primo brano, oltre alla fusione dei più diversi generi musicali, troviamo una fusione linguistica, una linea che unisce Italia, Spagna, Francia e Portogallo lungo tutti i dieci brani del disco, una linea che rappresenta una sorta di itinerario di viaggio per ripensare alla propria vita ed alle proprie abitudini così comode ma a volte così frustranti. Quasi come prendere per una volta nella vita il mitico treno “Orient Express” e vedere il mondo nella sua complessità e nella sua diversità, con la complicità del sax baritono di Domenico Mamone, magari bevendo “Il vino” che ricorda le proprie origini contadine, origini che non vanno dimenticate nel momento della ricerca della gloria ma che vanno tenute bene in mente.
Subito dopo il reggae ci coinvolge con la “Madness” fino a portarci alla citazione dotta di “Mackie Messer” che scomoda Bertold Brecht e Kurt Weill per una rilettura del pezzo del 1928 scritto per “L’operetta da tre soldi”: ritorniamo alla musica patchanka con “Chango” e il basso subito dopo ci porta ad ammirare “La luna e il vento” lungo le “Konfucio roads” guidati dalla voce di Massimo Marini. Il disco si conclude con i ritmi flamencheggianti di “Poder Mestizio” che ci portano ad ammirare “Il dislivello” che c’è tra la vita immaginata e quella vissuta, dove “tanti impedimenti han rotto i denti ai sentimenti, troppe vibrazioni hanno incrinato le occasioni”, con la voglia di distruggere tutto per ricominciare. Un disco divertente, ironico e che fa pensare. Un gran bell’esordio.