Quest’oggi “MelodicaMente” vi propone l’intervista ad un gruppo italiano che, però, non ha niente delle sonorità del nostro paese: il loro sound risulta essere molto internazionale. Dopo aver ascoltato il loro omonimo EP d’esordio scoperto via Twitter, composto da cinque brani, abbiamo avuto uno scambio di battute con i We, The Modern Age!. Vi state chiedendo da dove derivi il loro nome o quali siano le loro ambizioni? Per questo vi invitiamo a leggere la nostra intervista a Davide (Leto), che nel gruppo è il cantante e suona la chitarra ritmica, e ascoltare il loro EP d’esordio che vi proponiamo alla fine dell’intervista.
D: Avete una pagina Myspace, Facebook, Twitter e ovviamente l’immancabile Soundcloud; sono questi i mezzi che utilizzate per farvi conoscere al pubblico? Li curate tutti assieme o vi è uno di voi dedicato al lato social?
R: C’è anche la pagina su Bandcamp.com. Per quanto riguarda Myspace me ne occupavo io ma, ora, siccome sta andando in declino, è stato abbandonato a se stesso. Di Facebook ce ne occupiamo tutti assieme dato che è più immediato e comodo, mentre Soundcloud e Bandcamp ce li siamo divisi io e il bassista Luca. Per quanto riguarda la promozione diciamo che ci piace di più farci conoscere attraverso le date, anche se, obbiettivamente Internet arriva più velocemente e più lontano.
D: È difficile al giorno d’oggi trovare luoghi, e soprattutto, la disponibilità per date live oppure non state incontrando particolari difficoltà?
R: Fondamentalmente non è poi così difficile trovare un posto dove suonare, mi riferisco soprattutto alla Lombardia. Suonare è piuttosto facile, ci sono un sacco di locali e tecnicamente tanti concerti dovrebbero significare buone entrate per un band; in realtà, non è così, perché i locali si approfittano di questa cosa anzi più è un locale importante, più è una serata importante, più è sicuro che non vieni ricompensato economicamente a sufficienza.
D: Mi spieghi l’origine del nome, da dove è nato e perché?
R: Fondamentalmente non c’è una sola ragione; diciamo che abbiamo tutti una predisposizione per il moderno, la tecnologia e internet, anche se, il nostro sound non è di certo nulla di ultra-moderno. Ci piaceva creare questo, chiamiamolo ossimoro. Ovviamente, c’è un chiaro rimando a una canzone di una band che, diciamo, ci ha un po’ cresciuti [N.d.R. The Strokes]. In sintesi era un nome perfetto per rappresentare quei giovani come noi che sono attratti dalla modernità ma che rimangono anche legati a vecchie tradizioni musicali.
D: Come sono nati i We, The Modern Age!?
R: Io Davide (Leto), Matteo (Matthew) e Luca (Rondez) abbiamo frequentato la stessa scuola superiore ed eravamo amici da tempo, suonavamo in altri gruppi, ma non soddisfatti abbiamo deciso di formare un gruppo nostro dove io suonavo la batteria, mentre ora canto e suono la chitarra ritmica. Serviva però un batterista più completo, così, tramite amicizie in comune abbiamo conosciuto Andrea (Lando) che, da subito ci è piaciuto e abbiamo deciso di inserirlo nel gruppo. Oltre a diventare il batterista è diventato un grande amico, tutti noi, oltre a suonare insieme siamo anche molto amici.
D: Ora c’è l’immancabile domanda di rito: come mai la scelta di cantare in inglese?
R: Questo penso sia una cosa inevitabile quando decidi di fare un determinato tipo di musica. Non che non ci piaccia l’italiano, però inevitabilmente cantando in italiano avremmo dovuto fare musica diversa. Io faccio sempre l’esempio “che senso avrebbe cantare la tarantella in ungherese?” La nostra musica (volenti o nolenti) ha poco a che vedere con la tradizione della musica italiana. Cantando in italiano, in Italia, di sicuro si hanno molte più possibilità di sfondare o di fare cose serie e questo non penso sia giusto. In Italia, alla radio è difficilissimo sentir passare un gruppo italiano che canta in inglese, invece, in paesi come la Svezia, la Germania o la Svizzera è una cosa molto più comune.
D: Quindi mirate a farvi conoscere anche in altri paesi, europei e non, che hanno una cultura musicale (e non solo) più aperta della nostra?
R: Non necessariamente. Ci piacerebbe essere conosciuti in Italia come una band con uno stile diciamo “internazionale”, sarebbe una bella rivoluzione. Per quanto riguarda l’estero vale più o meno lo stesso discorso, sarebbe una gran soddisfazione essere riconosciuti all’estero come una band italiana e far capire al mondo che l’Italia non è solo “pizza e mandolino”.
D: Quali sono le vostre influenze? Le tue si assomigliano a quelle degli altri componenti o avete strade musicali separate?
R: Ognuno ha le proprie sfumature di gusto, c’è a chi piacciono le robe più picchiate (N.d.A. Lando) e a chi piacciono più le melodie, tutti, però, siamo accomunati da una passione irrefrenabile per The Smiths, Ride, Sonic Youth e The Stone Roses, la loro reunion è stata una gioia per noi, ora ne attendiamo solo un’altra e poi saremo le persone più felici della storia.
D: Un aneddoto, pensiero o curiosità sulle vostre canzoni; iniziamo da:
• Fireworks [R]: Fireworks è una nostra canzone, scritta molto prima che uscisse il singolo di Katy Perry, infatti, suona un po’ come una copiatura, in realtà, io e Katy senza mai conoscerci (peccato) abbiamo scritto una canzone con lo stesso titolo.
• L U A [R]: in realtà era nata come una canzone poco importante, l’avremmo quasi scartata se non fosse stato per il nostro “produttore” che diceva avesse un gran tiro. Effettivamente se l’avessimo scartata sarebbe stato un male perché ora è la nostra preferita. A gennaio, dopo Natale, dovremmo farla uscire come singolo accompagnata da un video.
• The Colours, The Fiction And Everything Else [R]: anche questa è nata per caso, poi suonandola ci siamo accorti che aveva delle potenzialità anzi, in realtà, tra le canzoni che compongono l’EP è quella maggiormente legata ai nostri pezzi più vecchi: le chitarre alternate nel riff sono un residuo di quei tempi.
• Take Me Home [R]: Take Me Home è il nostro passato, il nostro presente e futuro. Quando l’abbiamo finita abbiamo capito che potevamo fare grandi cose. La canzone parla di una tematica che ricorre a volte nei nostri pezzi, ossia il materialismo e l’egoismo delle persone che pensano a se stesse non rendendosi conto che il mondo attorno sta andando a rotoli.
• Beat 0 [R]: il nome è, fondamentalmente, la trasposizione fonetica in inglese del soprannome di un nostro amico. È il nostro pezzo romanticone che piace alla ragazze, in realtà, non ha affatto un testo romantico.
Concludiamo, dunque, proponendovi il loro EP d’esordio, disponibile su SoundCloud, con la certezza che dei We, The Modern Age! sentiremo parlare molto presto:
Latest tracks by We, The Modern Age!