Due anni fa usciva un piccolo demo autoprodotto di Stefano Elli, artista che aveva deciso di dare sfogo alla propria vena intima e solista con un piccolo disco e con uno pseudonimo, Impression Materials. A distanza di due anni quel demo è cresciuto ed è diventato un disco vero e proprio, “It should’n be a matter“.
Stefano Elli, verso la fine del 2010, decide di imboccare una parentesi personale e comincia un nuovo progetto musicale, Impression Materials: dopo aver diviso il palco con artisti nazionali ed internazionali (Fabrizio Cammarata, Jack Jaselli, Jesper Ejrup, Dylan Mondegreen e Terje Nordgarde) dà alle stampe prima un demo e poi questo disco solista che include nove tracce per 32 minuti circa di musica.
Lo stesso Elli aveva così definito il suo lavoro:
“Impression Materials è un’unica corda vibrante, che forma un tatuaggio leggero. E’ sotto pelle ancora prima che lo si ascolti, è anima allo stato puro”.
All’inizio, a detta dello stesso artista, il disco era stato pensato come un lavoro strumentale, ma presto al lavoro di scrittura musicale si è affiancato il lavoro di scrittura testuale e le melodie sono diventate canzoni a tutti gli effetti, registrato nella casa di Stefano e mixato ed ultimato nello studio personale dell’autore.
Già al primo impatto “It shouldn’t be a matter” è un lavoro che conferma questa intimità e questa sua natura personale, espressa con la sua chiave di ascolto principalmente acustica: l’album presenta 7 inediti e due riarrangiamenti (“The lamb” e “Staring at the kitchen“) di brani di un gruppo, i Carrick, sciolto tempo fa ed in cui Stefano Elli ha militato.
“It shouldn’t be a matter” ci accoglie con la cassa e con la chitarra di “Goose in the snow“, brano dal forte sapore folk pop e che mostra il nostro perfettamente a suo agio nella natura acustica del disco, come mostra benissimo anche il brano successivo, “Dance thru“, dalla coda virtuosistica e pizzicata.
Altro sapore si respira con “Usual state of mind“, pezzo che porta istintivamente a battere il tempo grazie al suo ritmo in crescendo ed ai suoi cori trascinanti, e con “Profit and benefice“, canzone ben più “lavorata” delle altre e che vede emergere prepotentemente un raffinato pop nei suoi arrangiamenti.
“Refusin’ alone” sembra una canzone uscita dritta dritta da un western, grazie alla sua chitarra molto country e al suo slide intersecato a cori sognanti, country che ritroviamo anche nel brano successivo, “Staring at the kitchen“, una delle due cover presenti nel disco.
A furia di ascoltarlo, capisci che Impression Materials è tante cose: se con “The lamb” ci muoviamo nel campo dell’improvvisazione, con “Strong Behaviour” siamo nel mondo del pop acustico più puro, quello dove si sentono le dita della chitarra che scorrono sulle corde con quel suono tutto particolare e preziose, mentre con “Narceine“, la canzone finale del disco, grazie all’effetto camera, all’eco e al finale così melodrammatico (con tanto di campane di una chiesa) sembra di essere in un sogno un po’ triste.
Per essere un primo lavoro solista e soprattutto acustico, che di solito a livello musicale è un banco di prova molto probante, “It shouldn’t be a matter“ di Impression Materials passa l’esame a pieni voti: 30 minuti di grande musica suonata benissimo e cantata ancora meglio, con brani che non faticheranno ad entrare nella playlist di molti (nella mia è entrata la struggente “Narceine“, una piccola perla) e che credo dal vivo rendano addirittura di più che dal puro ascolto in studio. Come si dice nel cinema, buona la prima.