I 71 anni di Fabrizio de Andrè, “Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare..”

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Proprio nei giorni in cui imperversano su radio, televisioni, giornali i più lunghi e articolati dibattiti riguardo al Festival di Sanremo, ho pensato fosse necessario estraniarmi un momento da questo viavai assoluto.

Sono le 00:16. E’ appena scoccato quel 18 Febbraio che per tante persone altro non è che un numero posato sul calendario, esteticamente nemmeno troppo bello. Ci sono però tantissime altre persone che sanno che il 18 Febbraio non è un giorno qualunque: 71 anni fa nasceva tra i carrugi di una Genova impregnata di significati Fabrizio de Andrè. In quella stessa Genova lasciata in età matura -per inebriarsi della purezza brulla della Sardegna- ma in cui Faber farà sempre ritorno col cuore, la mente, le canzoni. Quelle atmosfere straordinarie che tutt’ora possiamo percepire: perchè Fabrizio diventa l’emblema, l’occhio che osserva e dispiega le vele per ogni angolo di quella città che sembra mutare insieme a lui.

E’ sempre più difficile commemorare quello che è stato il Cantautore per eccellenza: ogni anno si riversa attorno alla sua figura un’ondata di eventi celebrativi, libri, ri-edizioni musicali. Trovare il non-detto è un’impresa. Cercherò allora -invece di trascinarvi in turbini di parole sentite e ri-sentite- di ricreare un’atmosfera, di restituirci anche solo un attimo di Faber: sarebbe già un risultato sublime. Lo farò ritornando con la mente a quella Genova che muta, si accresce, ma che rimane negli angoli più indecifrabili la “Zena” tanto amata da de Andrè.

Il mio ultimo viaggio qui risale a ormai due anni fa: era il mio diciottesimo compleanno e si teneva la mostra in occasione del decennale della scomparsa di Fabrizio, al Palazzo Ducale. Ricordo che decisi che per un giorno sarei entrato nella parte, con le sue musiche sempre appresso: per sentire gli odori e le sensazioni danzare su quelle note come stelle innamorate. Quei carrugi stretti, dove la salita diventa la discriminante per conquistare la bellezza di ciò che troveremo in fondo. L’indispensabile focaccia ligure che ti accompagna con quel sapore indescrivibile in ognicreuza de ma”, per farti inebriare di quel profumo di mare a mano a mano che il caos ordinato del porto ti ingloba e ti fa suo. Quel porto da cui passarono sin dalla notte dei tempi infinità di navi, per poi ripartire, per direzioni sicure oppure…ostinate e contrarie.

Parlo di quella stessa Genova in cui ogni ricordo è impossibile da cancellare, dove le urla si incrostano nella pelle ritornando a quel dannato G8 del 2001, oppure ai recenti scontri con i tifosi serbi. Peccato che Fabrizio ci avesse già lasciato: vedere la propria città uccisa -anche solo un istante- porta a riflessioni molto amare.

Ma Genova sopravvive, va avanti. E i profumi di “frittûa de pigneu, giancu de Purtufin, çervelle de bae ‘nt’u meximu vin, lasagne da fiddià ai quattru tucchi, paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi” lasciano spaziano all’evoluzione, a quell’Acquario le cui file chilometriche fanno pensare al consumo, al “tutto” che si annulla e diventa”niente“. Così questa Genova si modifica, si adatta alle esigenze e non si rassegna all’idea di essere “solo” città portuale. Il progresso comporta alle dovute rinunce: le barchette ammuffite dei “mainé” vengono soppiantate dagli attrezzati pescherecci; le antiche balere, le osterie, sfoggiano oggi stelle Michelin e nomi altisonanti.

E mentre il mio viaggio -sempre con Fabrizio appresso- prosegue, arriva l’ultima, delicata tappa: via del Campo.

Via del Campo è uno di quei posti che, ascoltando De Andrè, hai visto migliaia di volte senza mai esserci stato. Ammetto quindi di aver avuto paura di entrare in quel luogo “sacro” e di trovarlo cambiato, denudato della sua antica esistenza. E invece eccomi, in questa strada lastricata, povera, in cui un vecchio negozio di dischi sopravvissuto, spande note di vita. All’interno si trova un enorme contenitore di vetro, stracolmo di sigarette che ognuno lascia come ricordo in onore di Fabrizio. Lascio una Lucky Strike anche io, per sentirmi partecpie fino in fondo di questo viaggio.

E arriva infine la fatidica domanda: “Ma in via del Campo c’è..una puttana?” Andiamo a cercarle. E scopriamo che anche quelle sono rimaste. Probabilmente anche i più biechi perbenisti si sono arresi al fatto che impedire loro di esercitare qui, sarebbe come scrostare sempre più quell’enorme segno che de Andrè lascia su Genova e che, 71 anni dopo, rimane ancora meraviglioso.
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2 COMMENTS

  1. Oggi Fabrizio de Andrè compirebbe 71 anni. Nella puntata di ieri del Festival di Sanremo dedicata alla “storia d’Italia in musica” Fabrizio non è stato ricordato. Non ci sono parole… solo una grande delusione…

    • Purtroppo oggi la triste realtà è che la tv non è più mezzo di diffusione culturale, ma puro e semplice mezzo di comunicazione. Sfruttato perlopiù male. Fabrizio de Andrè è cultura pura, apoteosi della canzone italiana. Sanremo è diventato -ahimè- palcoscenico della canzonetta, in particolar modo negli ultimi anni. Per carità, non facciamo di tutta l’erba un fascio. Elementi validi ci sono ancora. Ma commemorare Fabrizio sarebbe esaltare il superbo, rendendosi conto della pochezza che offre oggi l’Italia a livello di musica cantata. O forse, non è questo il problema; non è la mancanza di poeticità, di talenti. E’ l’investimento che punta su altre rotte. Il livello culturale si abbassa, la musica si dissocia da ogni principio culturale e diventa puro e semplice svago. Questo de Andrè non lo avrebbe mai accettato. Questo è il problema della musica, il volersi adeguare troppo a quella o all’altra tendenza per piacere. La musica non ha bisogno di appagamento, la musica si appaga di per sè perchè, come disse Baudelaire “scava il cielo”.
      E sagacemente Nicola Piovani ci ricorda che “De André non è stato mai di moda. E infatti la moda, effimera per definizione, passa. Le canzoni di Fabrizio restano.”

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