Prendere le sonorità tipicamente roccheggianti della fine degli anni Settanta e mescolarle con l’elettropop degli anni Ottanta, i sassofoni new wave e i ritmi garage rock e post punk, resistendo nel contempo alla nascita dell’hard rock degli AC/DC, dimostra una capacità fuori dal comune. E questa capacità la avevano Tim Farriss (chitarra), John Farriss (batteria), Andrew Farriss (tastiere), Michael Hutchence (cantante), Kirk Pengilly (chitarra, sassofono e voce) e Garry Beers (basso e voce), ovvero gli INXS (da leggere IN-EX-ESS).
Per noi che abbiamo vissuto in pieno gli anni Ottanta e il dualismo Duran Duran-Spandau Ballet (con punte di Depeche Mode) questa band australiana arrivò a scompaginare le carte con il brano “Original sin” nel 1984, balzando agli onori della cronaca e facendosi conoscere al di fuori dei confini nazionali e scalando le vette della musica europea e statunitense. Ricordo precisamente le ragazze incuriosite e affascinate dal cantante, questo ragazzo dal fascino del tenebroso bello e dannato che faceva incetta di cuori cantando “Need you tonight” e ammiccando alla telecamera seminudo con i suoi capelli fluenti. Non lo notarono solo le ragazzine ma anche l’industria del cinema che lo fece recitare in film come “Cani nello spazio”, “Frankenstein oltre le frontiere del tempo” e “Limp”.
La cosa bella di quei tempi era che la critica musicale inglese era ferocemente schierata contro gli INXS e la band rispose sul campo proprio con il disco “Kick” del 1987 che conteneva brani come “New Sensation”, “Mistify”, “Devil Inside” e non per ultima “Need You Tonight“, canzone grazie alla quale arrivarono primi nella classifica inglese nel gennaio 1988. Una bella rivincita sui cuginetti d’oltreoceano.
Purtroppo, dopo l’album “X” del 1990, la band si prende un anno di pausa e i suoi componenti si dedicano a progetti da solisti ma non per questo smettono di produrre dischi come INXS, come dimostrano l’album live “Live Baby Live“, nato dal concerto allo stadio di Wembley, “Welcome to Wherever You Are“, l’album destinato a divenire il vero preferito da gran parte dei fan, “Full Moon, Dirty Hearts“, il loro primo Greatest Hits nel 1994 e poi “Elegantly Wasted“, l’ultimo disco del gruppo con Michael Hutchence. Nella mattinata del 22 novembre 1997 Michael Hutchence fu trovato morto nella camera 524 dell’hotel Ritz-Carlton in Double Bay, a Sydney: il corpo aveva il collo stretto in una cintura che era legata alla chiusura automatica posta alla sommità della porta della camera. Il 6 febbraio 1998, a seguito dell’autopsia, il medico legale del Nuovo Galles del Sud, Derrick Hand, presentò i risultati della sua inchiesta, stabilendo che la morte di Hutchence era imputabile a suicidio apparentemente per asfissia autoerotica, probabilmente motivato da depressione, mentre il cantante era sotto l’effetto di alcol e droghe.
Il funerale fu qualcosa di straziante: la bara di Michael Hutchence fu portata fuori dalla Cattedrale di St. Andrew da parte dei membri della band, da Bono (amico intimo del cantante) e da Rhett, il più giovane dei suoi fratelli, e la musica di sottofondo era, quasi per ironia della sorte, “Never Tear Us Apart” degli INXS, a mio avviso la loro migliore canzone. E pensare che Simon Le Bon scrisse, ancor prima della morte di Hutchence, una canzone a lui dedicata per l’amicizia che li accomunava, intitolata “Michael, You’ve Got A Lot To Answer For“, canzone che canterà una sola volta dal vivo poiché Le Bon scoppiò in lacrime sentendosi troppo emotivamente preso dal brano. Anni dopo gli U2 gli dedicheranno anche loro una canzone, “Stuck in a Moment You Can’t Get Out Of“.
Come spiegare gli INXS a chi non sa che nemmeno siano esistiti? Il loro era un sound davvero particolare che si è evoluto tantissimo dal primo album ma aveva alcuni tratti inconfondibili come il ritmo delle chitarre, la base delle tastiere, l’uso del sassofono e soprattutto la voce di Hutchence, assolutamente inconfondibile insieme alla sua estetica e al suo fascino. Forse è meglio lasciar parlare la musica.