Qualche tempo fa ho avuto l’occasione di recensire un lavoro molto forte di protesta, il disco “Storie di non lavoro” di Giubbonsky (al secolo Guido Rolando) che aveva piacevolmente catturato la nostra attenzione. Da allora è trascorso un po’ di tempo ed oggi siamo qui a raccontarvi il nuovo progetto discografico del cantautore milanese, dal titolo”Testa di nicchia“.
Il nuovo disco di Giubbonsky, che vanta un curriculum musicale ricco e nutrito, è composto da 11 canzoni per una durata di 40 minuti. La prima traccia è “Povero gatto“, un pezzo che si trova a cavallo tra la parola musicata e la canzone letteraria, per dar poi spazio a”Verde“, un pezzo dal ritmo ben cadenzato che ricorda le atmosfere alla De Gregori, con una coda strumentale lenta ed un assolo di chitarra molto denso.
Subito dopo troviamo la fisarmonica ne “Le mani del mago“, una canzone dal sapore gitano alla Capossela che racconta di viaggi fuori dalla città e fuori da se stessi, per far cambiare qualcosa dentro di sé. Fisarmonica che ritroviamo anche nella breve “Pattume“, che segue in qualche modo il brano precedente ma che si staglia come canzone di protesta contro il potere degli “assassini in doppio petto“.
“La nostra terra” è una filastrocca in rima baciata e ritmo sincopato che parla di ecologia e che presenta al suo interno una divertente rilettura fatta con la chitarra elettrica del fraseggio di “’O sole mio”: diverso destino invece incontra “Il destriero del re“, annunciata da un basso pesante e melodrammatico e che richiama alla mente “Ho visto un re” di Dario Fo ed Enzo Jannacci.
Con “Un altro mondo” la chitarra ci porta in atmosfere rock per descrivere la vita di tutti i giorni e la sua quotidiana fatica, fatica che sicuramente conosce chi normalmente guida la bicicletta come il protagonista di “Cicliade“, anche questa una canzone che usa intermezzi parlati.
Una chitarra ossessiva indaga nelle pieghe dell’animo e della sua “Ombra” che “la rabbia non la digerisce come i suoi caffè“, con unica soluzione quella di uscire dal buio come sembra indicare il suono cristallino alla fine della canzone. Come penultimo pezzo troviamo la title-track, una canzone autobiografica dal sapore smaccatamente rock: rock che non manca neanche in “Broncs“, ultima canzone di “Testadinicchia” e che colpisce con il suo testo e con la sua musica che mescola momenti angoscianti e momenti più smaccatamente pop.
Rimaniamo nel giudizio che esprimemmo tempo addietro sulla musica di Giubbonsky: è una musica di protesta e che vede con occhio disincantato il mondo che ci circonda. Forse per questo può essere una musica di nicchia, ma se il risultato finale deve essere un ammorbidimento e il non riuscire a dire quello che si pensa davvero, io preferisco di gran lunga tenermi un prodotto “duro” e difficile da digerire come “Testa di nicchia“.