Foo Fighters: “Wasting Light”. La recensione

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Foo Fighters - Wasting Light - Artwork

Dicono gli inglesi: “If you talk the talk, walk the walk“. Qui adattabile come: cari Foo Fighters, attenti a predicare tanto e bene ed a razzolare male. Tanto per cominciare, su questo “Wasting Light” è già stato predicato tutto e di più da ormai qualche mese. Il nuovo album di Dave Grohl e soci aveva già vinto in partenza, grazie ad un lavoro promozionale eccelso e ad una strategia artistica eccellente. La scelta di registrare nel garage di Grohl, nel più totale old school style senza l’ausilio di computer, il reintegro di Pat Smear come membro ufficiale e soprattutto il coinvolgimento di Butch Vig come produttore e di Krist Novoselic come guest, sublimano all’estremo quel richiamo alla nostalgia canaglia, proprio nel ventennale dell’uscita di “Nevermind“, l’album che ha cambiato il corso del rock. Piaccia o no. Ebbene, di fronte a tutte queste premesse il peso della responsabilità era palesemente devastante, condito dal sospetto e dal rischio di trovarci di fronte ad un gigantesco bluff. Bluff, che puntualmente non è arrivato.

Foo Fighters Wasting Light
Foo Fighters - Wasting Light - Artwork
Signore e signori: non c’è trucco e non c’è inganno. Dopo lunghi ascolti “Wasting Light” è definitivamente la consacrazione di una band già ampiamente consacrata sin dal suo primo omonimo disco. Le abilità compositive dell’ex batterista dei Nirvana sono indiscutibili, al pari della solidità della band, sempre più compatta ed esplosiva con il nuovo assetto a tre chitarre. Le preview audio che spopolavano in rete ed i due videoclip di “White Limo” e “Rope” avevano già fatto capire che le premesse erano più che buone, ma i singoli questa volta sono assolutamente solo fette di una torta perfettamente riuscita. Per restare nella metafora del poker i due singoli sono la coppia di re che rinforza un full d’assi composto dall’opener “Bridge Burning“, il pezzo dell’anno “I Should Have Known” e l’inaspettata “Miss The Misery“. Non si offendano altre gemme come “Walk” (la bella che t’aspettavi…), “Dear Rosemary” (la moderna che ci voleva…) ed “Arlandria“, il cui ritornello vale l’intero prezzo del disco: le carte sono cinque. In conclusione un plauso doveroso ad una band che non ha ancora fatto un passo falso, merito forse del talentuoso genio e dell’esperienza di Zio Dave, forte di un passato da “Annales” e di una serenità personale che gli vale il titolo di più grande rocker degli ultimi quindici anni. “Wasting Light” gode di un sound fresco e genuino, l’ennesima certezza di una band che ha già probabilmente avuto il suo momento di grazia con il trittico “In Your Honor“/”Skin and Bones“/”Echoes, Silence, Patience & Grace“, ma che ha ancora tutto da dire. In epoca di declino un preoccupante musicale, un sentito, doveroso e sincero: GRAZIE.

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